La prosecuzione oltre il termine pattuito, motivata da una diversa ragione sostitutiva, è legittima.
Nota a Cass. 26 luglio 2018, n. 19860
Francesco Belmonte
“Nel caso di assunzione a termine per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro è legittima la fissazione di un termine determinato con riferimento ad una data di rientro del lavoratore sostituito non prefissata (termine ‘incertus quando’) ed è assolutamente indifferente che nel corso del periodo di sostituzione muti la ragione dell’assenza del sostituito, purché costui non rientri in servizio e sempreché anche per la nuova causale sia consentita la stipulazione del contratto a termine” (la proroga dell’assenza dovrà, ad es., contenere, quale causale, quella della sostituzione per ferie e non per maternità).
Così, si è pronunciata la Corte di Cassazione (26 luglio 2018, n. 19860, in conformità a Cass. 16 maggio 2016, n. 10009; Cass. n. 12098/1999; e Cass. n. 625/1998) con riferimento ad un contratto stipulato nella vigenza del D.LGS. n. 368/2001, ma che torna d’attualità in seguito alla reintroduzione, ad opera del c.d. Decreto dignità, delle “causali” legittimanti la conclusione di un contratto a tempo determinato.
Come noto, infatti, il contratto a termine è attualmente disciplinato dagli artt. 19-29, D.LGS. 15 giugno 2015, n. 81/2015, come mod. dal D.L. 12 luglio 2018, n. 87, conv. dalla L. 9 agosto 2018, n. 96.
Nello specifico, la legge prevede, in via generale, che la durata del contratto di lavoro a tempo determinato non possa superare i 12 mesi. In tal caso il contratto è “acausale”, nel senso che il datore di lavoro non deve addurre specifiche ragioni per ricorrere al rapporto di lavoro a termine (art. 19, co.1).
Il contratto a termine, però, può anche essere stipulato per una durata superiore ai 12 mesi, ma comunque non eccedente i 24 mesi (intesi anche in sommatoria con precedenti contratti riferibili allo stesso datore ed a mansioni espletate nel livello della stessa categoria legale di inquadramento), purché ricorra “almeno una” delle seguenti esigenze (ex art. 19, co.1, D.LGS. n. 81/2015, come mod. dal c.d. Decreto dignità ( D.L. n. 87/2018, conv. dalla L. n. 96/2018):
1) “temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività”;
2) sostitutive;
3) “connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” (tre condizioni, queste, che si devono verificare congiuntamente; si pensi ai picchi di attività).
Fanno eccezione: a) il contratto a tempo determinato dei dirigenti, che possono concludere contratti aventi una durata, non superabile, di 5 anni (salvo il diritto del dirigente di recedere ai sensi dell’art. 2118 c.c., dopo un triennio), e sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina del contratto a termine (ex art. 29, co. 2); ed i contratti stagionali che possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle ragioni giustificatrici (ex art. 21, co. 01, D.LGS. n. 81/2015).
Il limite di 24 mesi è elevabile o riducibile ad opera dei ccnl, anche aziendali o territoriali.
Qualora, malgrado l’assenza delle esigenze di cui sopra (co.1), venga stipulato un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, “il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi” (art. 19, co.1-bis, D.LGS. n. 81/2015 ).
Un ulteriore contratto a tempo determinato (dopo i 24 mesi) può essere stipulato: a) presso la sede “protetta” dell’Ispettorato del lavoro, competente per territorio (ITL) (La Legge dice: “presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio”); b) fra gli stessi soggetti (la norma non parla di “stesse mansioni”); c) e con una durata massima di 12 mesi (o del diverso limite stabilito dai ccnl) (art. 19, co. 3).