A fronte della generica esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre personale omogeneo e fungibile in un appalto di pulizia, occorre rispettare, nella scelta del lavoratore licenziato, le regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. (nella specie, applicando il criterio dell’anzianità aziendale).
Nota a Cass. 25 luglio 2018, n. 19732
Flavia Durval
Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento può essere fondato, alternativamente:
a) sulla soppressione dei posti di lavoro di personale adibito all’espletamento di un servizio per un appalto che sia integralmente venuto meno. In tal caso, il fattore essenziale per identificare il soggetto destinatario del provvedimento espulsivo, senza necessità di fare ricorso ad ulteriori criteri selettivi, è rappresentato dal nesso causale che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva (posta a fondamento del recesso) con la posizione lavorativa non più necessaria (v. Cass. n. 25563/2017).
b) su una generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile. In tal caso, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera, essendo limitata, “oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse” (v., fra le tante, Cass. n. 7046/2011; Cass. n. 11124/2004).
In questa seconda ipotesi, secondo la giurisprudenza, i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta del lavoratore da licenziare conforme ai dettami di correttezza e buona fede sono quelli previsti dalla L. n. 223/1991, art. 5, ove si stabilisce che per i licenziamenti collettivi (laddove l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi) occorre prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico- produttive e organizzative, data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). Detti criteri costituiscono, infatti, “uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale” (v. Cass. n. 6667/2002).
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione 25 luglio 2018, n. 19732, a conferma di App. Milano 4 novembre 2015, in un caso in cui la ragione del licenziamento era da ravvisare nella riduzione (di circa 60 ore lavorative settimanali) di un appalto di pulizie, la quale aveva determinato la soppressione di due posizioni lavorative relative a mansioni omogenee e fungibili.
Per la Corte territoriale, il fatto che la sede produttiva ove la dipendente “eseguiva i lavori di appalto delle pulizie fosse unica, anche se frazionata tra i vari palazzi dislocati nell’area circoscritta del complesso aziendale della committente, nonché la costante rotazione del personale sulle prestazioni lavorative e l’assoluta fungibilità delle mansioni e quindi del personale addetto all’appalto” hanno reso di per sé privo di sufficiente funzione “individualizzante” la lavoratrice. In particolare, nella specie, in base all’art. 1175 c.c., avrebbe dovuto applicarsi il criterio dell’anzianità aziendale, che invece non era stato rispettato, rendendo illegittimo il licenziamento. Con la conseguenza che “la violazione delle regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. nella scelta del lavoratore da licenziare spezza il nesso di causa tra il giustificato motivo addotto e il licenziamento della dipendente e rende, rispetto al suo licenziamento, il fatto posto a base del licenziamento non rilevante, vale a dire manifestamente insussistente”.
In questo quadro, la Cassazione conclude osservando che il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo, introdotto dalla L. n. 92/2012, prevede, di regola, la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità, “riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria” (in questo senso, Cass. n. 1373/2018, in questo sito, con nota di F. ALBINIANO, Giustificato motivo oggettivo: tra reintegrazione e tutela indennitaria; Cass. n. 30323/2017 e Cass. n. 14021/2016).