Il possesso di sostanza stupefacente non a fini di spaccio, fuori dello stabilimento, durante l’intervallo del pranzo, non legittima il licenziamento per giusta causa.
Nota a Cass. 5 settembre 2018, n. 21679
Giuseppe Catanzaro
La detenzione di gr. 25 di hashish, non a fini di spaccio, durante la “pausa pranzo”, al di fuori del luogo di lavoro, ma con rientro verso lo stesso ha “un suo incontestabile rilievo disciplinare, ma non tale da legittimare una risoluzione in tronco del rapporto”.
L’affermazione è della Corte di Cassazione (5 settembre 2018, n. 21679), che accoglie parzialmente le osservazioni della Corte territoriale (App. Roma) che aveva valutato il rilievo disciplinare della condotta – ritenuta extra-lavorativa, sia pur con la particolarità del caso concreto, che prevedeva il rientro nello stabilimento -, precisando altresì che l’episodio in questione poteva essere comparato a quello del “rinvenimento del dipendente trovato in stato di manifesta ubriachezza durante l’orario di lavoro, sanzionato con una misura conservativa” ed escludendo che il vincolo fiduciario fosse irrimediabilmente compromesso per la assenza di potenziale pregiudizialità derivante al datore di lavoro dal comportamento del dipendente.
Diversamente dal giudice di merito, tuttavia, la Cassazione: a) osserva che la condotta oggetto della sanzione disciplinare conservativa era riconducibile alla norma del ccnl che prevede una sanzione conservativa per il lavoratore che commetta “qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dello stabilimento”; b) non ritiene corretto l’assunto della Corte di Appello che aveva ritenuto coinvolto, in seguito al comportamento del dipendente, “non lo stabilimento ma l’intera azienda, vista la possibile condivisione del “fumo” con altri colleghi di lavoro, essendo notorio il cd. passaggio di sigaretta da un soggetto ad altro nei fenomeni di consumo di gruppo, nell’ambito dell’intera azienda”; c) considera errata l’asserzione della Corte territoriale che aveva affermato la sussistenza dell’ulteriore stato lesivo, “rappresentato dall’oggettivo discredito prodotto a danno della società per essere stato il lavoratore arrestato con la tuta portante il marchio aziendale, con sostanza custodita nella tasca della tuta stessa, durante la pausa pranzo e nel mentre ritornava in azienda”.
Il Collegio precisa che “per stabilimento deve intendersi l’edificio all’interno del quale si svolge l’attività lavorativa espletata dal dipendente mentre per azienda deve considerarsi, in termini più generali, tutto l’insieme delle attività finalizzate alla produzione dei beni materiali, quali gli impianti, gli uffici, la logistica (etc.)”, e cassa, sotto il profilo motivazionale, la ricostruzione adottata dalla Corte di Appello in merito: sia all’asserito coinvolgimento di tutta l’azienda nel cd. fenomeno di consumo di gruppo e non del solo stabilimento cui era addetto il prestatore (non risultando ciò avvalorato da alcun elemento di fatto); sia alla “possibile condivisione del fumo con altri colleghi”, dal momento che la detenzione della droga, stante il quantitativo della sostanza, poteva essere finalizzata esclusivamente ad un consumo personale, anche eventualmente fuori dell’ambiente lavorativo e fuori l’orario di lavoro; ed infine, sia per l’asserito discredito prodotto a danno della società, mancando, sul punto, un accertamento concreto e perché “con la diffusione meramente locale del quotidiano che aveva riportato la notizia, non risultava dimostrata alcuna lesione degli interessi di parte datoriale nella loro oggettività in considerazione di un episodio avente comunque carattere extralavorativo” (i giudici accolgono la tesi della società sul carattere extralavorativo della “pausa pranzo”, qualificata come lasso temporale non rientrante nell’orario di lavoro, con la conseguenza che la condotta addebitata risulta riferibile ad un fatto extralavorativo).