Nel licenziamento individuale c.d. economico, attuato per motivi oggettivi relativi a mansioni e compiti sostanzialmente omogenei, il datore di lavoro è tenuto ad utilizzare i criteri contenti nell’art. 5, L. n. 223/1991 (relativa ai licenziamenti collettivi) ovvero altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione.
Nota a Cass. 30 agosto 2018, n. 21438
Mariapaola Boni
Nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, determinato dalla soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, anche se non è utilizzabile il criterio dell’impossibilità di “repêchage” (dal momento che tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili), nondimeno la scelta dell’impresa non è libera.
Il datore di lavoro, infatti, deve individuare il soggetto da licenziare, non ponendo in essere atti discriminatori, nonché agire secondo i principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (v. Cass. n. 16144/2011). Ed “in questo contesto l’art. 5 della I. n. 223/1991 (per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi) offre uno “standard” idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, ma non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati” (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25192; Cass. 8 luglio 2016, n. 14021).
Pertanto, vanno presi in considerazione, in via analogica, i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità, atteso che non assumono rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative, data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti (cfr. Cass. n. 11124/2004 e n. 16144/2001, cit.).
Così si è espressa la Corte di Cassazione (30 agosto 2018, n. 21438; in conformità, v. Cass. n. 25192/2016 e n. 14021/2016), rilevando che, in via generale, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (di cui all’art. 3, L. n. 604/1966) la legge richiede una serie di circostanze quali:
“a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso;
b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali … diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività;
c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore”.
La Corte ha poi precisato che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità (purché effettivi e non simulati) ed espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. (v. anche Cass. n. 24882/2017 e Cass. n. 5592/2016).
Inoltre, l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali criteri è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni; mentre è escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.