È legittimo il recesso datoriale se le modalità espressive adottate dal lavoratore esorbitano limiti della continenza formale.
Nota a Cass. 6 giugno 2018, n. 14527
Francesco Belmonte
L’esercizio del diritto di critica da parte del dipendente nei confronti dei vertici aziendali può integrare un comportamento idoneo a ledere definitivamente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro e costituire, di conseguenza, una giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell’ordinaria convivenza civile.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (6 giugno 2018, n. 14527), la quale, annullando la sentenza della Corte d’Appello di Napoli (n. 6038/2016), ha ritenuto legittimo il licenziamento di alcuni lavoratori che, dinanzi all’ingresso del fabbricato aziendale, avevano inscenato “il finto suicidio dell’amministratore delegato della società tramite impiccagione su un patibolo accerchiato da tute macchiate di rosso (a mo’ di sangue) e del successivo funerale con contestuale affissione di un manifesto, a mo’ di testamento, ove si attribuivano all’amministratore stesso le morti per suicidio di alcuni lavoratori e la deportazione (n.d.r. trasferimento) di altri” presso un diverso stabilimento.
Per i giudici napoletani, simile rappresentazione sarcastica, per quanto “aspra”, doveva ritenersi legittima, poiché rispettosa “dei limiti di continenza sostanziale (per la rispondenza al criterio della verità soggettiva, in considerazione della lettera lasciata da uno dei dipendenti morto suicida che riconduceva la ragione della tragica scelta alla condizione lavorativa e delle opinioni dello stesso tenore rilasciate da altra dipendente suicidatasi) e di continenza formale (per l’assenza di violenza o di espressioni offensive, sconvenienti o eccedenti lo scopo della denuncia che si voleva realizzare e trattandosi di fatti già portati all’attenzione dell’opinione pubblica).”
In una diversa ottica si pone invece la Cassazione, per la quale l’esercizio del diritto di critica dei lavoratori, seppur garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., ha oltrepassato i limiti della continenza formale, “attribuendo all’amministratore delegato qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli, esponendo il destinatario al pubblico dileggio, effettuando accostamenti e riferimenti violenti e deprecabili in modo da suscitare sdegno, disistima nonché derisione e irrisione e travalicando, dunque, il limite della tutela della persona umana richiesto dall’art. 2 Cost. che impone, anche a fronte dell’esercizio del diritto di critica e di satira”, l’adozione di forme espositive “pur sempre misurate”, al fine “di evitare di evocare pretese indegnità personali”.
Tale rappresentazione scenica ha, quindi, “travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza civile, mediante offese gratuite, spostando una dialettica sindacale anche aspra ma riconducibile ad una fisiologica contrapposizione tra lavoratori e datori di lavoro, su un piano di non ritorno che evoca uno scontro violento e sanguinario, fine a sè stesso, senza alcun interesse ad un confronto con la controparte, annichilita nella propria dignità di contraddittore.”
Per i giudici di legittimità, inoltre, le modalità espressive adottate dai dipendenti, superando i limiti della correttezza formale, sono idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base della relazione lavorativa, poiché introducono in azienda una conflittualità tale da compromettere “il regolare svolgimento e la fisiologica dialettica del rapporto di lavoro”.
Pertanto, ove tali confini siano superati, come nel caso di specie, il comportamento posto in essere dai lavoratori può costituire una giusta causa di licenziamento, anche in assenza degli elementi (soggettivi ed oggettivi) integranti la fattispecie penale della diffamazione (Così, Cass. n. 5523/2016, in questo sito, con nota di F. ALBINIANO, Criticare l’impresa oltre i “limiti” consentiti configura giusta causa di licenziamento. Nella stessa linea, si v. anche Cass. n. 7471/2012, la quale ha ritenuto legittimo il licenziamento di un rappresentante sindacale che, attraverso una critica “aspra”, attribuiva ai superiori gerarchici qualità apertamente disonorevoli e riferimenti denigratori non provati.).
In argomento, v., in questo sito, F. ALBINIANO, Contenuto e limiti del diritto di critica del lavoratore; Cass., ord., 18 luglio 2018, n. 19092, con nota di F. ALBINIANO, Diritto di critica e recesso per giusta causa; Cass. 16 febbraio 2017, n. 4125, con nota di A. BREVAL, Diritto di critica e licenziamento per giusta causa; Cass. 17 gennaio 2017, n. 996, con nota di M.N. BETTINI, Dovere di diligenza, interesse dell’impresa e diritto di critica; Cass. 21 marzo 2016, n, 5523, con nota di; App. Napoli 27 settembre 2016, con nota di C. AMBROSIO, I limiti al diritto di critica del lavoratore.