Se la giustificazione alla base del recesso non coincide con la condotta originariamente contestata in sede disciplinare, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione.
Nota a Cass. 28 agosto 2018, n. 21265
Francesco Belmonte
Qualora la lettera di licenziamento descriva in maniera diversa da quella di contestazione disciplinare la condotta posta a base del recesso, si applica la tutela reale c.d. “debole”, regolata dall’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno entro le 12 mensilità) e non la diversa tutela indennitaria c.d. “dimezzata”, ex art. 18, co. 6, Stat. Lav. (risoluzione del rapporto di lavoro con indennità risarcitoria compresa tra 6 e 12 mensilità), applicabile nelle ipotesi di vizio formale o procedurale dell’atto espulsivo, in quanto tale incongruenza integra un vizio sostanziale che fa venir meno i presupposti del licenziamento.
Così, si è pronunciata la Corte di Cassazione (28 agosto 2018, n. 21265), la quale ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Lecce (n. 2532/2016) in merito ad una controversia riguardante il licenziamento disciplinare intimato da un’azienda di servizi sanitari nei confronti di un operatore socio-sanitario (con mansioni di ausiliario addetto al servizio di pulizie) che si era assentato senza giustificazione dal posto di lavoro per tre giorni consecutivi.
Nella specie, il dipendente aveva impugnato il licenziamento sostenendo che era stato irrogato per una violazione diversa da quella oggetto di contestazione disciplinare: nella lettera di recesso, infatti, era stata invocata la violazione dell’art. 41, lett. c, del ccnl applicabile (attinente alla recidiva nelle mancanze del lavoratore), mentre nella contestazione iniziale era stato addebitato il diverso episodio della mancata presentazione in servizio per tre giorni consecutivi.
Il giudice di primo grado, investito della questione, aveva qualificato tale vizio come una mera irregolarità formale ed applicato la tutela indennitaria “dimezzata” (ai sensi dell’art. 18, co. 6, Stat. Lav.) prevista nei casi di licenziamento inefficace.
Al contrario, la Corte territoriale aveva riformato la decisione e disposto l’applicazione della più rigorosa tutela sancita dall’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (tutela reale “debole”), in base ai seguenti presupposti:
A) la lettera di contestazione disciplinare concerneva l’assenza ingiustificata del lavoratore (dal 2 al 4 maggio del 2013), mentre la comunicazione del licenziamento citava la lettera c dell’art. 41, ccnl di settore, ove era prevista la recidiva nelle condotte sanzionabili;
B) “non si verteva in ipotesi di violazione formale o procedurale, ma di vizio sostanziale mancando nella lettera di contestazione la recidiva che costituiva elemento costitutivo della sanzione espulsiva”;
C) doveva, quindi, disporsi la reintegrazione nel posto di lavoro, di cui all’art. 18, co. 4, Lav., prevista per i casi di inesistenza del fatto posto a base del licenziamento.
I giudici di legittimità hanno confermato tale lettura, escludendo che nel caso di specie potesse applicarsi il regime sanzionatorio delle violazioni meramente formali e procedurali, sancito dall’art 18, co. 6., Stat. Lav., in quanto regolante diverse ipotesi, che, a titolo esemplificativo, sono riconducibili: all’omessa audizione del lavoratore (Cass. n. 17166/2016; Cass. n. 25189/2016); alla violazione del ccnl che prevede un termine per l’adozione del provvedimento disciplinare (Cass. n. 17113/2016); alla genericità della contestazione disciplinare (Cass. n. 16896/20126); all’omessa comunicazione dei motivi di licenziamento (Cass. n. 17589/2016).
Pertanto, considerato che il fatto oggetto del licenziamento non coincide con quello originariamente contestato, conclude la Cassazione, deve applicarsi necessariamente la tutela reintegratoria “debole”, ai sensi dell’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (reintegrazione “certa” con indennità limitata con tetto massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; con deduzione dell’aliunde perceptum – ossia di quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione – e dell’aliunde percipiendum – quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione -; e con pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali).