La prestazione dell’attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, con l’inserimento nella sua organizzazione, nell’ambito di un rapporto a prestazioni corrispettive, va qualificata come contratto di lavoro subordinato.
Nota a Cass. 11 Settembre 2018, n. 22074
Donato Martino
Il rapporto di lavoro va considerato subordinato in presenza di una serie di requisiti recentemente ribaditi dalla Corte di Cassazione (11 settembre 2018, n. 22074; 9 aprile 2018, n. 8687):
1) prestazione dell’attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore ex art. 2094 c.c.;
2) inserimento nell’organizzazione del datore di lavoro;
3) esecuzione della prestazione senza margini di libertà operativa all’interno di una rigida organizzazione aziendale che, ad esempio, nel caso dei televenditori, predetermini, in modo rigoroso, anche i messaggi da inoltrare ai clienti e le persone da contattare, con possibilità solo marginale di aggiungere altre, svolgendosi la prestazione sempre e soltanto su input dell’azienda;
4) possibilità, solo in via meramente eccezionale, di esecuzione della prestazione da casa;
5) impostazione della prestazione per turni lavorativi sulla base dell’etero-organizzazione della prestazione;
6) diretto coinvolgimento, nella esecuzione del contratto, della persona del lavoratore, con conseguente potenziale ricaduta dei provvedimenti datoriali su aspetti non meramente patrimoniali ma connessi a fondamentali esigenze di vita del prestatore di lavoro. Tale caratteristica è considerata da Cass. 11 maggio 2018, n. 11408, in questo sito, con nota di M.N. BETTINI, Trasferimento illegittimo e rifiuto di adempiere, quale “ulteriore peculiarità del rapporto di lavoro, non direttamente discendente dalla natura corrispettiva delle obbligazioni reciproche ma comunque destinata ad influenzare la verifica del sinallagma contrattuale”;
7) “nomen iuris” (qualificazione giuridica), anche se, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato il “nomen iuris” attribuito dalle parti al rapporto “può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione” (così, Cass. n. 8687/2018, cit.);
8) continuità, rispondenza dei contenuti della prestazione lavorativa ai fini propri dell’impresa e modalità di erogazione della retribuzione. Questi tre elementi, tuttavia, secondo i giudici, non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 1717/2009 e Cass. n. 224/2001).