Sono tassabili con l’aliquota del 12,50%, in luogo del regime di tassazione separata, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai c.d. “vecchi iscritti” a fondi di previdenza complementare, limitatamente a quella parte dei capitali costituita dal rendimento netto, corrispondente alle somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – e non anche a quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione.
Nota a Cass. 2 marzo 2018, n. 4939
Marialuisa De Vita
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, torna a pronunciarsi sul trattamento fiscale delle prestazioni erogate dai fondi previdenziali integrativi, con particolare riguardo a quelle erogate in forma di capitale.
Nello specifico, la pronuncia trae origine dal ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza, che riconosceva al contribuente il diritto al rimborso, per l’anno 2000, della maggiore ritenuta IRPEF, applicata in base al regime di tassazione separata, in luogo di quella del 12,50%, su una somma erogata come liquidazione del capitale della pensione integrativa.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha ribadito – in linea con altri suoi precedenti (Cass., S.U., 22 giugno 2011, n. 13642) – la necessità di distinguere, con riferimento al regime di tassazione dei suddetti capitali, la posizione dei soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari:
- prima dell’entrata in vigore del D.LGS. 21 aprile 1993, n. 124 (28 aprile 1993);
- successivamente all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo.
A questa situazione “binaria”, che distingue tra “vecchi iscritti” e “nuovi iscritti”, consegue – ad avviso della Suprema Corte – che le prestazioni in forma di capitale erogate ai soggetti iscritti, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.LGS. n. 124/1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, siano soggette al seguente trattamento tributario:
- per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata ex 16, co. 1, lett. a) e art. 17 TUIR (nel testo vigente ratione temporis) solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. “rendimento netto” si applica la ritenuta del 12,50% prevista dalla L. n. 482/1985, art. 6;
- per gli importi maturati a partire dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata ex 16 e 17 TUIR.
Al contrario, per i “nuovi iscritti”, l’intero capitale (sia nella parte corrispondente alla “sorte capitale” che a quella relativa alla liquidazione del c.d. rendimento) è assoggettato al regime di tassazione separata ai sensi degli artt. 16 e 17 TUIR.
Tuttavia, tale ricostruzione non è risultata esaustiva, essendo sorte tra le parti contrapposte interpretazioni circa il concetto di “rendimento netto”, cui applicare la suddetta ritenuta del 12,5% (era questa la materia del contendere del caso in esame).
Sul punto, la sentenza in commento è intervenuta precisando che il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme derivanti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario del capitale accantonato e che ne costituiscono, appunto, il rendimento (cfr. Cass. n. 720/2017; Cass. n. 10604/2015; Cass. 5376/2012). Il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato identifica, infatti, la ragione stessa della più favorevole tassazione di tali proventi, ragione “rappresentata dall’essere questo il risultato degli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata”.
Per “gestione sul mercato” deve, poi, intendersi non solo quella realizzata con prodotti del mercato finanziario (es. strumenti finanziari, valori mobiliari, ecc.), ma anche quella realizzata con prodotti relativi ad altri mercati (ad es., quello immobiliare).
Per la Cassazione, dunque, la ritenuta del 12,5%, prevista dall’art. 6 della L. n. 482/1985, si applica unicamente alle somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato e non anche a quelle “calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate“.