Le condotte extra-lavorative, ascritte al dipendente, possono legittimare il recesso per giusta causa solo se idonee a ledere il vincolo fiduciario e tali da compromettere gli interessi del datore di lavoro.
Nota a Cass. 10 settembre 2018, n. 21958
Francesca Albiniano
Ai fini del licenziamento per giusta causa, la gravità dell’infrazione, posta in essere dal lavoratore, deve risultare talmente grave “da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo – ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate – ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente”.
Il principio è espresso dalla Corte di Cassazione (10 settembre 2018, n. 21958) che, confermando la pronuncia resa dalla Corte Territoriale (App. Milano), ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato da una società ferroviaria ad un capo stazione, a seguito della condanna penale, subita da quest’ultimo, per maltrattamenti in famiglia (per i contrapposti principi applicati nel settore pubblico, v. Cass. 6 agosto 2018, n. 20562, annotata, in questo sito, da G.I. VIGLIOTTI, Licenziamento pubblico: valgono anche condotte extra-lavorative).
I Giudici di legittimità, ribadendo il consolidato orientamento in materia (v. tra le tante Cass. n. 16524/2015; Cass. n. 16268/2015), hanno evidenziato che seppur una condotta illecita extra-lavorativa del dipendente è suscettibile di rilievo disciplinare, dando luogo anche a sanzioni di tipo espulsivo – “poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario” – l’apprezzamento, in concreto, dell’incidenza di dette condotte sul rapporto di lavoro è sempre rimesso al giudice di merito.
La Cassazione ha rilevato altresì che, nel caso di specie, non solo le condotte extra-lavorative ascritte al dipendente (ed accertate in sede penale) non erano idonee ad incidere sul rapporto lavorativo ma, oltretutto, mal si attagliavano alle ipotesi individuate dall’art. 64, lett. c), del ccnl mobilità/attività ferroviarie, richiamato nella lettera di recesso, posta l’assenza di “alcun grave pregiudizio né effettivo né potenziale dell’azienda”.
L’art. 64 del ccnl mobilità/attività ferroviarie, rubricato “mancanze punibili con il licenziamento senza preavviso”, dispone, invero, che il dipendente incorre nella sanzione espulsiva senza preavviso “per ogni mancanza che lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda”, individuando, alla lett. c), lo specifico caso di “violazioni dolose di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi”.
Muovendo poi dalla definizione legislativa di giusta causa, ex art. 2119 c. c. (quale evento che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto), la Corte ha ricordato che la citata nozione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) delinea “un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”.
Ne consegue che il “giudizio di fatto” è demandato e rimesso al giudice di merito ed è incensurabile in Cassazione, se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n. 8254/2004 e successive conformi).
All’esito di tale articolato iter argomentativo, la Cassazione, rigettando il ricorso della società ferroviaria e confermando la sentenza del giudice di appello, ha condannato il datore di lavoro, ex art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 – ratione temporis applicabile – alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro ed alla corresponsione di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.