L’omessa esposizione, nella comunicazione al sindacato, di tutti gli elementi legislativamente tipizzati per la procedura di riduzione di personale si risolve in un inadempimento essenziale che non può essere sanato in sede di incontri sindacali e con le informazioni rese in quel contesto, viziando la procedura in modo insanabile. Per il licenziamento illegittimo, l’azienda, pertanto, sulla scorta della decisione della Corte Costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, va condannata al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a 12 mensilità.
Nota a Trib. Bari 11 ottobre 2018, n. 7016
Paolo Pizzuti
La questione relativa all’ammontare dell’indennità (non assoggettata a contribuzione previdenziale) dovuta al lavoratore licenziato (per riduzione di personale) nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, di cui all’art. 3, co. 2, D.LGS. n. 23/2015 (c.d. Decreto sulle tutele crescenti), è oggetto di un’interessante pronuncia del Tribunale di Bari 11 ottobre 2018, n. 7016, cha anticipa le motivazioni della Corte Costituzionale sul punto (sentenza 26 settembre 2018, n. 194).
Quest’ultima, come noto, ha dichiarato illegittimo l’art. 3, co. 1, D.LGS. n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal successivo D.L. n. 87/2018, cosiddetto “Decreto dignità”, conv. con mod. in L. n. 96/2018 – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Ciò, in quanto, secondo la Corte, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost.
In considerazione di questa importante decisione, il Tribunale afferma che, qualora il rapporto di lavoro del lavoratore che impugni il proprio licenziamento sia durato poco più di un anno e mezzo, in base al D.LGS. n. 23/2015 egli potrebbe aspirare unicamente alla corresponsione di un’indennità minima – indennità che, nel regime vigente al momento della sentenza che si annota, era “pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”; mentre oggi, in base all’art. 3, co.1, D.LGS. n. 23/2015, come mod. dall’art. 3, co. 1, D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convert. con mod. in L. 9 agosto 2018, n. 96, è “pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”.
Il Tribunale però precisa che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 3 co. 1, D.LGS. n. 23/2015, nella parte in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato; in particolare, secondo la Consulta, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. “Oggetto di censura è stato quindi il criterio “automatico” di determinazione della misura dell’indennità, collegato al solo parametro dell’anzianità di servizio del dipendente, e non anche le soglie minima e massima della stessa”.
Secondo il Tribunale, “a fronte di tale pronuncia, pur nella consapevolezza che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 30, co. 3, L. n. 87/1953, in ossequio all’art. 136, co. 1, Cost.) e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta, si ritiene di dover interpretare in maniera costituzionalmente orientata l’art. 3, co. 1 ancora (presumibilmente per pochi giorni) vigente, determinando l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato, compresa fra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, sulla base dei criteri già enunciati dall’art. 18, co. 5 Stat. lav., a sua volta richiamato dall’art. 18, co. 7, vale a dire ‘in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti”.
In conclusione, afferma il Tribunale, una volta accertata l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 4, co. 3 e co. 9, L. n. 223/1991, il rapporto di lavoro va dichiarato estinto con effetto dalla data del licenziamento (15.12.17) “e la società convenuta va condannata al pagamento in favore del ricorrente di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale che si reputa congruo determinare nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto…, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal licenziamento fino al soddisfo. La predetta quantificazione dell’indennità è giustificata dalla considerevole gravità della violazione procedurale, consistente principalmente nella omissione del raffronto tra i dipendenti attinti dal licenziamento e quelli mantenuti in organico; tale profilo, concernente il comportamento tenuto dall’azienda, deve essere contemperato con le ridotte dimensioni dell’attività economica e il basso numero di lavoratori occupati, unitamente alla scarsa anzianità del ricorrente, sicché induce a ritenere equa, fra il minimo di 4 e il massimo di 24, un’indennità pari a 12 mensilità”.
La mancata indicazione, nella comunicazione di avvio della procedura, di tutti gli elementi previsti dal citato art. 4, impedisce, infatti, “insanabilmente al sindacato di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione del personale, valutando anche la possibilità di alternative al programma di esubero” ed il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza della comunicazione ed il conseguente vizio del licenziamento” (v. Cass. n. 5034/2009 e Cass. n. 15479/2007).