Il criterio dei carichi di famiglia nei licenziamenti per riduzione di personale va valutato in relazione al reale fabbisogno economico familiare e non fiscale.
Nota a Cass. 2 agosto 2018, n. 20464
Daria Pietrocarlo
Il criterio dei carichi di famiglia, quale criterio di scelta da utilizzare in sede di licenziamento collettivo per l’individuazione dei lavoratori in esubero, deve essere identificato in relazione al fabbisogno economico determinato dalla situazione familiare e, quindi, dalle persone effettivamente a carico e non da quelle risultanti in relazione a altri parametri, che potrebbero rivelarsi non esaustivi.
È questo l’importante principio affermato dalla Corte di Cassazione (2 agosto 2018, n. 20464), in relazione al contenzioso instaurato da una lavoratrice al fine di accertare l’illegittimità del licenziamento intimatole nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223/1991.
A fondamento della suddetta domanda la ricorrente deduceva una errata applicazione del criterio di scelta consistente nei carichi di famiglia.
La Cassazione, nel confermare quanto già statuito dalla Corte di Appello di Milano, ha rilevato che la nozione di carichi di famiglia non deve essere intesa come una verifica del numero di familiari a carico sul piano fiscale, ma deve ricomprendere il più generale ed effettivo fabbisogno economico cui il prestatore è chiamato a concorrere per soddisfare le esigenze del proprio nucleo.
Secondo i Giudici di legittimità, l’art. 5 della L. n. 223/1991, allorquando fa riferimento al criterio di scelta dei carichi di famiglia richiama il criterio previsto dall’accordo interconfederale del 1965 avente ad oggetto “la situazione economica” del lavoratore interessato dalla procedura di mobilità.
Sebbene le due locuzioni possano apparire diverse, nondimeno sia l’accordo interconfederale che la disposizione di legge attribuiscono a tale criterio il compito di individuare i lavoratori meno deboli socialmente.
Stante la necessità di salvaguardare i lavoratori più onerati, ne deriva che il criterio carichi di famiglia debba essere valutato considerando il reale fabbisogno familiare e, quindi, le persone effettivamente a carico del lavoratore.
Posto, quindi, che la ratio della norma citata è quella di tutelare la situazione effettiva familiare del singolo lavoratore, e non di limitarsi alla semplice verifica del numero delle persone a carico da un punto di vista fiscale, che peraltro potrebbe risultare anche riduttiva, un comportamento improntato a correttezza e buona fede impone al datore di lavoro di applicare il criterio de quo, anche a prescindere da una espressa comunicazione ad hoc del lavoratore stesso.
Con ciò la Corte non intende di certo vincolare il datore di lavoro ad espletare particolari indagini su ogni singolo lavoratore, che neppure gli sarebbero consentite, ma, quando le circostanze rilevanti risultano in qualche modo ufficiali, come per esempio la nascita dei figli per avere concesso i periodi di astensione obbligatoria, il datore di lavoro è tenuto a richiedere la documentazione e a considerare dette circostanze in sede di applicazione dei criteri di scelta.
Su tali presupposti, la Cassazione, valutando i carichi di famiglia sotto un profilo economico e non fiscale, all’esito di un ragionamento presuntivo che appare logico e immune da censure, ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro, non avendo lo stesso tenuto in debita considerazione la circostanza che, durante il rapporto di lavoro, la lavoratrice aveva beneficiato dell’astensione obbligatoria per la nascita dei figli.
Concludendo, secondo i Giudici di legittimità il parametro della dichiarazione Irpef non costituisce un dato sufficiente per misurare il criterio dei carichi familiari, in quanto è richiesto al datore di lavoro un accertamento più ampio che impone, qualora sia a conoscenza della reale situazione economica familiare del dipendente, di tener debitamente conto anche di quest’ultima.