Il medico impiegato in una AUSL, che si trovi in situazione di incompatibilità e venga diffidato a cessare da tale situazione, decade dall’incarico decorsi quindici giorni dalla diffida. Tale decadenza non ha natura sanzionatoria o disciplinare.
Nota a Cass. 6 agosto 2018, n. 20555
Flavia Durval
In merito al provvedimento datoriale di decadenza dal previgente rapporto di lavoro a tempo determinato e in regime di esclusività, per accertata situazione di incompatibilità professionale, la Corte di Cassazione ha elencato una serie di rilevanti principi, quali:
1) l’istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dagli artt. 60 ss. DPR. 10 gennaio 1957, n. 3, cui rinvia l’art. 53, co.1, D.LGS. n. 165/2001, è estraneo all’ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all’art. 55, D.LGS. n. 165/2001, cit. (v.. per tutte: Cass. n. 967/2006);
2) la disciplina dell’incompatibilità di cui al citato DPR. n. 3/1957 (art. 60 ss.) – applicabile a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, a norma del D.LGS. n.165/2001 (art. 53, co. 1), nonché ai dipendenti degli enti locali (in virtù dell’abrogazione, da parte della L. n. 142/1990, art. 64, del R.D. n. 393/1934, art. 241) “prevede che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico; ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato non ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55 del decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l’istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro” (in questo senso, la giurisprudenza consolidata. V., tra le altre: Cass. n. 28797/2017; Cass. n. 8722/2017; Cass. n. 617/2015).
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, (con ricorso avverso la sentenza di App. Palermo n. 653/2016, di conferma della sentenza del Trib. di Termini Imerese n. 163/2014), era stata respinta la domanda di un medico, volta ad ottenere la declaratoria di nullità del provvedimento, adottato dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Palermo, di decadenza dal previgente rapporto di lavoro a tempo determinato e in regime di esclusività, per accertata situazione di incompatibilità professionale; nonché la condanna della azienda medesima al pagamento delle retribuzioni che il ricorrente avrebbe percepito sino alla naturale scadenza del rapporto. La Corte territoriale, confermata dalla Cassazione, ha precisato che:
a) il medico, al momento dell’assunzione da parte della AUSL, non ha informato (nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’art. 47, D.P.R. n. 445/ 2000) l’Azienda della situazione di incompatibilità in cui si trovava per essere impegnata da anni presso una Casa di cura privata come medico di guardia, con impegno di trenta ore settimanali;
b) con nota successiva, l’ AUSL ha diffidato la dipendente invitandola a rimuovere la situazione di incompatibilità entro quindici giorni, pena decadenza dall’impiego;
c) a questo punto, l’interessata ha inviato alla AUSL una missiva in cui ha dichiarato, in modo chiaro e inequivocabile, di optare per il rapporto di lavoro già istituito presso la Casa di cura suddetta;
d) pertanto, con successiva determina, la AUSL ha dichiarato la dottoressa decaduta dal preesistente rapporto di lavoro a tempo determinato;
e) il Collegio rileva altresì che, nella fattispecie, “non viene in considerazione la normativa sul procedimento disciplinare perché la persistenza della situazione di incompatibilità determina ex lege l’automatica decadenza dal pubblico impiego, senza che rilevi l’esclusione della responsabilità per danno erariale statuita dalla Corte dei conti con una sentenza di cui, peraltro, è stato allegato solo il dispositivo”.
L’art. 4, co. 7, L. 30 dicembre 1991, n. 412, per la parte che qui interessa, dispone che: “Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso. L’accertamento delle incompatibilità compete, anche su iniziativa di chiunque vi abbia interesse, all’amministratore straordinario della unità sanitaria locale al quale compete altresì l’adozione dei conseguenti provvedimenti. Le situazioni di incompatibilità devono cessare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge ….. L’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale….”.