Chi è vicino alla pensione è licenziabile anche se il settore aziendale non è in crisi.
Nota a Cass. 8 ottobre 2018, n. 24755
Alfonso Tagliamonte
“In tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo del lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al prepensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura”.
Tale principio, recentemente espresso dalla Corte di Cassazione (8 ottobre 2018, n. 24755, in linea con l’orientamento prevalente: v. Cass. n. 21374/2016; Cass. n. 19457/2015; Cass. n. 14170/2014), è conforme alle direttive comunitarie recepite dalla L. n. 223/1991 e codificata nell’art. 27 della Carta di Nizza (7 dicembre 2000), in quanto valorizza “il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico”.
L’individuazione dei lavoratori in esubero per riduzione di personale (L. n. 223/1991), mediante accordo collettivo siglato con il sindacato, sulla base del criterio selettivo della maggiore vicinanza alla pensione (ovverosia della possibilità di prepensionamento), è dunque valida anche se il criterio in questione è applicato a tutta la platea aziendale (ovvero al personale di tutto lo stabilimento) e non alla sola area in cui è stata registrata l’eccedenza.
Il criterio di scelta concordato con le associazioni sindacali può infatti applicarsi trasversalmente all’intera realtà produttiva senza che ciò comporti un uso strumentale dei poteri collegati ai licenziamenti collettivi. Al contrario, la suddetta prossimità, come chiariscono i giudici, costituisce un criterio, non discriminatorio, astrattamente oggettivo e verificabile sul piano della effettività, che consente di ridurre al minimo l’impatto sociale della riorganizzazione, in quanto salvaguarda i lavoratori che, a seguito della riduzione di personale, non potrebbero beneficiare della protezione sociale garantita dal prepensionamento.