Il dipendente del datore di lavoro privato deve disobbedire all’ordine illegittimo.
Nota a Cass. 28 settembre 2018, n. 23600
Andrej Evangelista
La condotta posta in essere dal dipendente in aperta violazione delle procedure interne e in esecuzione di un ordine del superiore palesemente illegittimo configura una giusta causa di licenziamento essendo contraria ai valori dell’ordinamento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (28 settembre 2018, n. 23600) affermando che, “l’esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sé ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l’art 51 c.p.”.
Nella fattispecie, l’ordine impartito al lavoratore era tale da comportare una palese violazione delle procedure amministrative e contabili, oltre che dei principi e delle regole poste dal Codice Etico, “mediante simulazione di lavori non eseguiti ed esborsi effettivi in favore delle ditte apparentemente appaltatrici”, con danni anche economici connessi al pagamento di lavori non eseguiti.
Non era pertanto più possibile riporre affidamento sul futuro esatto adempimento della prestazione nei confronti di chi si era posto in condizioni di:
- violare ripetutamente i doveri di diligenza e fedeltà;
- forzare le procedure interne certificando l’esecuzione di lavori in realtà non eseguiti;
- determinare pagamenti indebiti senza opporre alcun rifiuto o ostacolo agli ordini dati dal superiore gerarchico, ordini della cui illegittimità il dipendente era in condizione di rendersi perfettamente conto.
Secondo la Corte, non è applicabile alla fattispecie l’art. 51 c.p., che “trova la sua giustificazione nel divieto imposto ai cittadini di sindacare le norme giuridiche e di disubbidire agli ordini legittimi della pubblica autorità”, considerando non punibili quei fatti previsti dalla legge come reati, “se commessi per adempiere ad un dovere derivante da tali norme ed ordini”. La previsione, infatti, non è giustificata nei rapporti di diritto privato (fra i quali sono compresi quelli intercorrenti fra datore di lavoro e lavoratore) e non è applicabile in quanto manca un potere di supremazia del superiore riconosciuto dalla legge (cfr. altresì Cass. Pen. n. 3394/2017; Cass. Pen. n. 133/1971).