Il licenziamento del giornalista che chieda all’azienda di riconoscere il carattere subordinato del suo rapporto di lavoro è ritorsivo e, quindi, sanzionabile con la reintegrazione nel posto di lavoro.

Nota a Trib. Bologna 5 ottobre 2018

Gennaro Ilias Vigliotti

Il giornalista licenziato dopo aver inviato all’azienda una richiesta esplicita di regolarizzazione contributiva e retributiva del suo rapporto di lavoro, in quanto lavoro subordinato, va reintegrato nel posto di lavoro ex art. 18, co.1, Stat. Lav. (come sostituito dalla L. n. 92/2012 ed applicabile ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015).

Lo ha deciso il Tribunale id Bologna 5 ottobre 2018, muovendo dal presupposto che il rapporto di lavoro del giornalista aveva natura subordinata a tempo indeterminato, ricorrendo, nella fattispecie, una serie di indici indicativi della subordinazione, quali:

– assunzione con vari contratti di collaborazione simulati;

– assoggettamento al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro (con esecuzione di ordini e ricevendo sia complimenti per il lavoro svolto che rimproveri);

– responsabilità dei servizi resi;

– pieno inserimento del lavoratore nell’attività redazionale con utilizzazione degli strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro;

– preposizione in via stabile a settori di informazione e rubriche fisse;

– continuatività della prestazione a tempo pieno e senza intervalli fra una e l’altra prestazione;

– quotidianità del lavoro svolto e impegno costante;

– presenza fissa in azienda;

– permanente disponibilità del lavoratore nei confronti delle esigenze del datore di lavoro nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. Al Tribunale non sfugge la considerazione della Corte di Cassazione (n. 22785/2013), la quale ha precisato che nell’attività giornalistica “il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa e per la natura prettamente intellettuale dell’attività stessa: con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del vincolo di subordinazione rileva particolarmente l’inserimento continuativo ed organico di tali prestazioni nell’organizzazione dell’impresa… In sostanza, l’elemento creativo, proprio dell’attività intellettuale, attenua ma non è sufficiente ad eliminare la posizione di subordinazione, che sussiste purché non difetti la detta continuità delle prestazioni, intesa come disponibilità del lavoratore ad eseguire le istruzioni del datore di lavoro, persistenti anche negli intervalli tra una prestazione e l’altra”.

Per tale motivo, i giudici precisano che non può escludersi il carattere subordinato di una prestazione, per il fatto che “il lavoratore goda di una certa libertà di movimento ovvero non sia tenuto ad un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, né per il fatto che la retribuzione sia commisurata alle singole prestazioni; costituiscono, per contro, indici negativi alla ravvisabilità di un vincolo di subordinazione la pattuizione di prestazioni singolarmente convenute e retribuite, ancorché continuative, secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali ovvero in base ad una successione di incarichi fiduciari” (Cass. n. 8068/2009);

Tutto ciò considerato, stante la pregressa sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il Tribunale, confermando l’ordinanza emessa in fase sommaria, ha osservato che le rivendicazioni del lavoratore avevano causato il licenziamento, ritenuto perciò ritorsivo e, in quanto tale, sanzionato ex art. 18 Stat. Lav., con le conseguenze relative alla tutela reale (reintegrazione).

Come noto, ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav. (come mod. dalla L. n. 92/2012): “1.Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro…”.

Inoltre, secondo il co. 2: “Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.

Licenziamento ritorsivo del giornalista e subordinazione
Tag:                                                                             
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: