La rinuncia del lavoratore all’incidenza dell’anzianità maturata su diritti futuri è nulla.
Nota a Cass. 11 ottobre 2018, n. 25315
Alfonso Tagliamonte
“Il regime di eventuale mera annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall’art. 2113 cod. civ., riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia a un diritto già acquisito”.
È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione (Cass. 11 ottobre 2018, n. 25315), la quale precisa che nell’ipotesi di rinunzia all’incidenza dell’anzianità maturata (ad una certa data del rapporto di lavoro) su diritti, derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, i quali non siano ancora acquisiti nel patrimonio del rinunciante, si è in presenza di un atto abdicativo che in realtà va a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quanto inderogabilmente stabilito dalle norme di legge o del contratto collettivo. Con la conseguenza che la rinunzia risulta nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c., ovvero invalida od inefficace ex art. 2077 c.c. (in tal senso, Cass. n. 4811/2012 e n. 13834/2001).
Pertanto l’eventuale rinuncia alla valutazione dell’anzianità pregressa rispetto all’evoluzione di eventuali scatti successivi, è nulla poiché ha ad oggetto diritti futuri, non ancora acquisiti al patrimonio dei singoli lavoratori.
Tale soluzione, è conforme al principio secondo cui “l’anzianità di servizio non è uno status o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, né un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, ma rappresenta la dimensione temporale del rapporto di lavoro, nel cui ambito integra il presupposto di fatto di specifici diritti (quali quelli all’indennità di fine rapporto o agli scatti di anzianità)”. (così, Cass. n. 10131/2018).