È vietato esercitare due volte il potere disciplinare per un medesimo fatto.
Nota a Cass. 23 ottobre 2018, n. 26815
Sonia Gioia
In caso di “doppio” licenziamento, qualora tutte le condotte addebitate con il «nuovo» recesso siano mere specificazioni dei comportamenti abituali già enunciati nella prima contestazione, il secondo procedimento disciplinare, promosso dopo l’esaurimento del primo, rappresenta un’inammissibile duplicazione (in forza del generale principio «ne bis in idem»).
Il principio è statuito dalla Corte di Cassazione (23 ottobre 2018, n. 26815), secondo cui «il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare, una seconda volta per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva” (in tale senso, v. Cass. n. 3855/2017, in questo sito, con nota di D. CASAMASSA, Scarso rendimento, inadempimento del lavoratore e illeciti precedenti; Cass. n. 20429/2016; Cass. n. 17912/2016, in questo sito, con nota di F. ALBINIANO, Sanzioni disciplinari e licenziamento per “recidiva”; Cass. n. 22388/2014).
Tale principio non è invocabile soltanto se «il nuovo esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro riguardi fatti che, sebbene della stessa indole di quelli che hanno formato oggetto del pregresso procedimento, siano, tuttavia, diversi per le particolari circostanze di tempo e di luogo che li contraddistinguono e, come tali, siano contestati nella loro specifica individualità”, trattandosi di singole specifiche infrazioni, ciascuna avente una propria rilevanza disciplinare (è questo il caso in cui, in relazione a fattispecie concrete, vengano in rilievo, in ciascun procedimento disciplinare, singole condotte e non un comportamento complessivo, di cui le medesime condotte costituiscano indici rilevatori).
Nella fattispecie, il primo procedimento disciplinare (su cui si è pronunciata Cass. n. 23669/2014) riguarda la contestazione del «modus operandi» del direttore della filiale bancaria «denotante un atteggiamento perdurante di grave scorrettezza ed inadempienza nella gestione del suo ufficio»; il secondo procedimento, oggetto del giudizio della sentenza in esame, concerne “i singoli episodi in cui quel «modus operandi» si è manifestato e consumato”.
Come rilevano i giudici, il substrato sostanziale dei due procedimenti è lo stesso, in quanto la Banca, la prima volta, ha contestato la condotta nella sua complessità, rilevando l’esercizio improprio del potere gerarchico, “attraverso l’asservimento dei sottoposti alla realizzazione di interessi personali del superiore”; la seconda volta, ha contestato quello stesso comportamento, tramite “i singoli e specifici episodi in cui si è realizzato”.
In sintesi, dunque, secondo la Cassazione, se il potere disciplinare è esercitato in relazione ad una “condotta complessiva (abituale e reiterata), non possono poi sanzionarsi i segmenti costitutivi di quella condotta (quelli che cioè integrano l’abitualità e la reiterazione), sia pure quando, singolarmente considerati, costituiscano essi stessi inadempimento rilevante sul piano disciplinare”.