Le assenze del lavoratore, che dipendono da infortunio sul lavoro o da malattia professionale, sono computabili nel periodo di comporto e danno diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Nota a Cass. 19 ottobre 2018, n. 26498
Kevin Puntillo
“Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (19 ottobre 2018, n. 26498), la quale:
– precisa che nessuna norma imperativa vieta alle disposizioni collettive di escludere dal computo delle assenze, ai fini del cosiddetto periodo di comporto di cui all’art. 2110 c.c., quelle dovute a infortuni sul lavoro. Tale norma, infatti, lascia ampia libertà all’autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo di comporto e, quindi, non preclude la libertà di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi;
– e chiarisce che il calcolo delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si opera quando l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale si siano verificati in presenza di due circostanze e cioè: a) siano causate da “fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa”; b) il datore di lavoro sia responsabile della situazione nociva e dannosa, in quanto inadempiente all’obbligazione contrattuale gravante su di lui ai sensi dell’art. 2087 c.c., “norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie – secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica – per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore”. In tali ipotesi, l’impossibilità della prestazione lavorativa è, dunque, imputabile alla condotta della stessa parte cui detta prestazione è destinata.
Nella fattispecie esaminata, la Cassazione, confermando la sentenza delle Corte di Appello di Palermo, ha ritenuto legittimo il licenziamento della ricorrente per superamento del periodo di comporto, escludendo la responsabilità datoriale e, quindi, di conseguenza, rilevando che le assenze della lavoratrice dovute ad infortunio sul lavoro erano computabili nel periodo di comporto previsto dall’art. 211 c.c.