È prevista la reintegrazione nel posto di lavoro ogniqualvolta il giudice accerti il difetto di giustificazione del recesso, intimato per giustificato motivo oggettivo, consistente nella idoneità psico-fisica del lavoratore.
Nota a Cass. 22 ottobre 2018, n. 26675
Francesca Albiniano
In caso di illegittimità del licenziamento, comminato per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore, dovuta a violazione dell’obbligo di adibire il dipendente a mansioni compatibili con il suo stato di salute, l’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970, così come modificato dalla L. n. 92/2012, art. 1, co. 42, lett. b), c.d. legge Fornero, prevede espressamente la reintegrazione nel posto di lavoro per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo, consistente nell’inidoneità psico-fisica del lavoratore.
Il principio è espresso dalla Corte di Cassazione (22 ottobre 2018, n. 26675) che, in riforma della pronuncia resa dalla Corte Territoriale (App. Torino), ha stabilito che il licenziamento per motivo oggettivo in violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, è qualificabile come ingiustificato.
Pertanto – come affermato da Cass. n. 10435/2018 (in questo sito, con nota di M.N. BETTINI e F.DURVAL, Licenziamento economico: possibile la reintegrazione se manca il repêchage) – a fronte della espressione lessicale utilizzata dal legislatore nell’art. 18, co. 7, il riferimento al termine “fatto” deve intendersi riferito alla nozione complessiva di giustificato motivo oggettivo, con riguardo alla quale anche la carenza del presupposto relativo alla “sola impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse – può determinare la sanzione reintegratoria di cui all’art. 18 novellato, co. 4”.
Secondo il Collegio, “costituirebbe una grave aporia sistematica ritenere che la violazione dell’obbligo di repêchage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precluderla invece nel caso di lavoratore affetto da inidoneità fisica o psichica”.
Siffatta situazione si porrebbe, infatti, in contrasto con la peculiare tutela riconosciuta dal diritto dell’Unione Europea ai lavoratori con disabilità (v. Direttiva n. 78/2000/CE), la quale protegge all’art. 1 il fattore soggettivo dell'”handicap” (Cass. 19 marzo 2018, n. 6798 e Cass. 23 maggio 2017, n. 12911) nonché con la Convenzione sui diritti del disabile delle Nazioni Unite 13 dicembre 2006, che valorizza la protezione del soggetto portatore di disabilità e, quindi, meritevole di una protezione rafforzata anche sul piano lavorativo, alla luce dell’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconosce “il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure idonee a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”.
La Cassazione sottolinea infine che anche il D.LGS. n. 23/2015, all’art. 2, prevede, nell’ipotesi di “difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore”, la tutela reintegratoria piena.