AdE 8 ottobre 2018, Principio di Diritto n. 3
Stefano Quaranta
Con il Principio di Diritto n. 3 dello scorso 8 Ottobre, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il regime tributario dei servizi mensa resi dalle aziende ai propri dipendenti tramite app mobile su smartphone è assimilabile a quello dei tradizionali buoni pasto.
Tale precisazione ha riguardato gli aspetti relativi al trattamento Irpef, Ires, e Iva della possibilità riconosciuta ai dipendenti di talune aziende di far uso del proprio smartphone per pagare il servizio di mensa presso gli esercizi convenzionati in sostituzione dei tradizionali buoni pasto cartacei.
L’Agenzia ha chiarito che opera anche in tale ipotesi la regola tradizionale per cui, ai fini del trattamento Irpef in capo al lavoratore, non concorrono a formare il reddito le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi (art 51, co. 2, lett. c), T.U.I.R.).
Per quanto attiene all’Ires dovuta dall’impresa, l’Agenzia ha ritenuto che il costo sostenuto dal datore di lavoro per gestire i servizi sostitutivi di mensa de quibus rappresenti un onere per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande (cfr. sul punto, anche la Circolare n. 6/2009), e, quindi, non subisce le limitazioni di deducibilità di cui all’art. 109, co. 5, del TUIR (novellato dal D.L. n. 112/2008), per il quale “… le spese relative… a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al comma 3 dell’articolo 95, sono deducibili nella misura del 75 per cento.”
Infine, per ciò che riguarda gli aspetti Iva, l’Agenzia, riservandosi di valutare gli effetti del futuro (a far data presumibilmente dal Gennaio 2019) recepimento in Italia della Direttiva UE n. 2016/1065, ha considerato applicabili le aliquote di cui ai nn. 37 e 121 della Tabella A, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. Più precisamente, si applicherà l’aliquota del 4% sulle fatturazioni tra il soggetto gestore dell’App e l’azienda datrice di lavoro, mentre l’aliquota del 10% sarà applicabile alle fatture emesse da parte degli esercizi convenzionati eroganti i pasti nei confronti delle società emittenti i “buoni”.
Peraltro, vista l’equiparazione operata dall’Agenzia tra buoni pasto cartacei e “app pasto mobili”, dovrebbero risultare applicabili anche ai secondi le medesime disposizioni di cui all’art. 4 del D.M. n. 122/2017 sulla incedibilità e personalità degli stessi, nonché quelle sulla non cumulabilità oltre il limite di 8 buoni, finanche sulla loro non commerciabilità o convertibilità in denaro e sull’utilizzabilità solo per l’intero valore “facciale”.
Da ultimo, si noti come nel Documento di prassi in commento non sia stata fornita una chiara definizione delle App Mobile in parola, ma solo un’assimilazione in punto di disciplina (come detto, in precedenza, ai fini Irpef, Ires, e Iva) delle stesse rispetto ai buoni pasto. Su questo punto, è, dunque, opportuno evidenziare che nel citare l’art. 51, co. 2, lett. c), T.U.I.R., l’Amministrazione Finanziaria non ha esplicitamente richiamato anche la seconda parte della disposizione, in cui viene fissato il limite di non imponibilità di 7 euro giornalieri per i cc.dd. buoni pasto elettronici. Da qui sorge spontaneo domandarsi se tale lacuna sia solo casuale, ovvero frutto di una precisa scelta maturata da parte dell’Agenzia.