L’indennità sostitutiva di preavviso ha natura retributiva e come tale rientra nelle voci per le quali opera la responsabilità solidale del committente.
Nota a Trib. Pavia, sez. lav., 30 ottobre 2018
Andrej Evangelista
Qualora un’azienda proceda al licenziamento collettivo, ai sensi dell’art. 4, co. 9, primo periodo, L. n. 223/1991, “raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6,7 e 8, l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso”.
In mancanza del preavviso, pertanto, ai ricorrenti dovrà essere erogata la relativa indennità sostitutiva.
È quanto rilevato dal Tribunale Pavia 30 ottobre 2018 relativamente al ricorso presentato da alcuni lavoratori licenziati per riduzione di personale, i cui servizi di reception, facchinaggio, pulizia e sanificazione erano stati concessi in appalto a varie società, subentrate l’una all’altra nel tempo finché l’ultima aveva disdetto il contratto di appalto avviando una procedura di licenziamento collettivo.
Nello specifico, i lavoratori avevano ricevuto una lettera di licenziamento del seguente tenore: “in virtù dell’accordo sindacale sottoscritto presso la sede dell’Agenzia Regionale per l’Istruzione, la Formazione e il Lavoro il 18 aprile 2016, non Le verrà riconosciuto il preavviso né la relativa indennità sostitutiva ma, a condizione che il licenziamento non venga impugnato e che la rinuncia all’impugnazione ed al preavviso/indennità sostitutiva del preavviso vengano formalizzate in sede protetta – il diritto di precedenza rispetto ad eventuali future assunzioni che dovessero essere effettuate a parità di qualifica presso la scrivente verrà prolungato per un ulteriore periodo di 12 mesi rispetto quello previsto dalla legge (6 mesi dal licenziamento)”.
I lavoratori, però, non avevano sottoscritto l’accordo in questione ed avevano chiesto il pagamento della indennità sostitutiva del preavviso alle società convenute.
Investito della questione, il Tribunale richiama l’art. 29, co.2, D.LGS. n. 276/2003, secondo cui “…il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro i limiti di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento…”.
Come si vede, nella fattispecie, assume rilievo dirimente la natura retributiva dell’importo di cui si chiede il pagamento, dal momento che solo a fronte di tale natura il committente può essere chiamato a risponderne, in solido, con il datore di lavoro.
Al riguardo, i giudici rilevano che in seno alla giurisprudenza di legittimità sussistono pronunce di segno differente, ricorrendo sia affermazioni che assegnano all’indennità in esame natura risarcitoria che affermazioni che le attribuiscono natura retributiva.
Nel primo senso, è stato infatti affermato che l’istituto civilistico del preavviso, nell’ambito dei contratti di durata senza prefissione di termine, per i quali l’estinzione è rimessa alla facoltà di recesso consentita alle parti, ha la funzione di attenuare le conseguenze dell’improvvisa interruzione del rapporto per chi subisce il recesso (cfr. artt. 1569, 1616, 1833, 1845, 1855, 1899, 2118 e 2160 c. c. ), al tempo stesso consentendo, rispettivamente, al datore di lavoro di trovare un altro dipendente e al prestatore di procurarsi un’altra occupazione (cfr. Cass. 3 aprile 1980, n. 2188).
In questo quadro, “la parte che non osserva la normativa contrattuale sul preavviso, sia essa il lavoratore o il datore di lavoro, è tenuta ad indennizzare l’altra parte del disagio e del danno (che peraltro può anche mancare, come nel caso che il datore di lavoro trovi immediatamente un sostituto del lavoratore recedente, o che questi trovi subito un’occupazione)”. Pertanto:
a) l’indennità per mancato preavviso costituisce un risarcimento corrispondente al “lucro cessante” preveduto o prevedibile per l’ulteriore periodo in cui il rapporto avrebbe seguitato a svolgersi qualora il preavviso avesse avuto il suo corso regolare;
b) stante la natura risarcitoria – o “indennitaria” dell’indennità di preavviso, in quanto finalizzata ad indennizzare il lavoratore del mancato guadagno per un periodo ulteriore rispetto alla data nella quale il rapporto si è interrotto, è escluso che la stessa possa rientrare tra i crediti retributivi inerenti gli ultimi mesi del rapporto di lavoro, per i quali opera, ai sensi del D. LVO n. 80 del 1992, il Fondo di garanzia” (in tal senso, Cass. SU 29 settembre 1994, n. 7914).
Un diverso orientamento esclude invece la natura retributiva dell’indennità sostitutiva del preavviso in base all’assoggettamento dell’indennità per preavviso non lavorato a contribuzione previdenziale (cfr. Cass. n.2931/2004 e n.13395/1999).
L’art. 6 D.LGS. n. 314/1997, stabilisce, infatti, che “costituiscono redditi da lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all’art. 46, comma 1, del TU delle imposte sui redditi (il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta). Sono escluse dalla base imponibile “le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto, le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo del lavoratore nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso”.
La Corte di Cassazione ha altresì equiparato la retribuzione imponibile a fini previdenziali alla retribuzione pensionabile maturata durante il rapporto di lavoro (cfr Cass. n.16367/2003 in fattispecie regolata dall’art. 12, L. n. 153/1969 ed ha rilevato che la normativa dettata dall’art.12 L. n.153/1969, secondo cui è retribuzione “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura”, con esclusione di specifici emolumenti, qualifica l’indennità sostitutiva del preavviso “quale reddito imponibile a fini previdenziali”.
In tale linea, il Tribunale, muovendo dalla considerazione che la mancata esecuzione della prestazione sia derivante dal legittimo esercizio di un diritto potestativo da parte del datore di lavoro, ritiene che “l’assoggettamento dell’indennità per preavviso non lavorato a contribuzione previdenziale ha causa…. nella natura retributiva dell’indennità sostitutiva del preavviso …, così evitando di pregiudicare la posizione del lavoratore cui sia preclusa dalla controparte l’esecuzione della prestazione…. tale da garantirgli una tutela effettiva”.
Nello stesso senso, v. Trib. Milano 27 gennaio 2015; Trib. Torino 16 gennaio 2002, secondo cui l’indennità sostitutiva del preavviso ha “indubbia natura retributiva”. In difformità, v. Cass. n. 8717/1990; n. 7248/1990; n. 4081/1989.
In tema di indennità di mancato preavviso, v. Cass. n. 16139/2018 (che rigetta App. Bologna 2 febbraio 2016), secondo cui, a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, “le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 5, c.c.,… in ragione dell’esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto; ne consegue che anche per il versamento della contribuzione sull’indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento si applica la prescrizione breve, con decorrenza dalla cessazione del rapporto, restando irrilevante l’epoca in cui tale diritto sia stato eventualmente accertato in giudizio”.