Il lavoratore può utilizzare i permessi previsti dalla L. n. 104/1992 per lo svolgimento di tutte le attività che il disabile non sia in grado di compiere autonomamente.
Nota a Cass. (ord.) 2 ottobre 2018, n. 23891
Flavia Durval
I permessi per l’assistenza ai disabili garantiti dalla L. n. 104/1992 (art. 33) non sono utilizzabili solamente per l’assistenza “fisica” al disabile, ma possono essere impiegati dal lavoratore che ne fa richiesta anche per svolgere attività che il disabile non può compiere in autonomia, come, ad esempio, effettuare la spesa, fare prelievi e versamenti o altre commissioni.
Pertanto, il licenziamento intimato dall’azienda sul presupposto che il prestatore abbia utilizzato i permessi per scopi personali è da ritenersi illegittimo, in quanto le attività compiute dal lavoratore sono state effettuate nell’interesse del parente disabile.
È quanto chiarito dall’ordinanza della Corte di Cassazione (2 ottobre 2018, n. 23891) relativamente ai permessi di lavoro previsti dalla L. n. 104/1992 per l’assistenza ai disabili, fruibili per effettuare attività nel loro interesse al di fuori dell’abitazione.
Secondo i giudici, laddove le suddette attività siano svolte dal lavoratore nell’interesse del parente disabile, ciò le rende coerenti con la finalità della norma di cui alla L. n. 104/92, in quanto l’assistenza prevista dalla normativa non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione. Nella fattispecie, al lavoratore era stato contestato, tra l’altro, di essersi recato durante l’orario del permesso a fare la spesa, che poi aveva portato a casa della madre e della sorella, entrambe disabili.
L’assistenza va dunque intesa in una accezione ampia, comprensiva del disbrigo di pratiche di vario contenuto, come alcune operazioni svolte presso il postamat e il tabaccaio.
Per converso, secondo i giudici, qualora il lavoratore subordinato “si avvalga del permesso di cui all’art. 33, L. n. 104 del 1992 non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale” (v. anche Cass. n. 9217/2016, in questo sito, con nota di K. PUNTILLO, Permessi per assistenza disabili, controllo dell’agenzia investigativa, licenziamento; Cass. n. 4984/2014; e Cass. n. 8784/ 2015, la quale rileva il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personali, “scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa”.