Ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nell’organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente medesimo.
Nota a Cass. 6 novembre 2018, n. 28250
Sonia Gioia
“Il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico (ndr. Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente), affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione”.
L’art. 2126 c.c. ha, infatti, applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perché in contrasto con norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona.
Il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore è, poi, quello proprio di un rapporto di impiego pubblico regolare (Cass. n. 12749/2008) e, quindi, quello disciplinato ex art. 2, D.LGS. n. 165/2001 dal contratto collettivo di comparto.
Tali principi sono stati affermati dalla Corte di Cassazione 6 novembre 2018, n. 28250, secondo cui “ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nell’organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di assunzioni”.
La sussistenza dell’elemento della subordinazione (in luogo di una collaborazione coordinata e continuativa) va correttamente individuata sulla base di una serie di indici, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale (v. Cass. n. 7334/2018, Cass. n. 14434/2015).
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Cassazione, la Corte territoriale era pervenuta ad affermare la natura subordinata del rapporto, essendo provati: lo stabile inserimento nell’organizzazione dell’ente interessato, l’adibizione a mansioni rientranti nei compiti istituzionali dell’Agenzia, l’esclusività della prestazione, la predeterminazione dell’orario e della retribuzione, il controllo delle presenze, il vincolo di subordinazione gerarchica e la volontà dell’ente di considerare il lavoratore come inserito nella propria struttura burocratica.