La preponderante assegnazione di un dirigente medico ai turni di “prima reperibilità” non costituisce di per sé elemento sintomatico di discriminazione, vessazione o condotta mobbizzante.
Nota a Cass. 4 aprile 2018, n. 8367
Maria Novella Bettini
L’adibizione in misura prevalente di un dirigente medico a turni di “prima reperibilità” non è da sé sintomatica di un comportamento mobbizzante. Ciò, in considerazione delle esigenze organizzative del Presidio Ospedaliero, volte al contemperamento delle limitate dotazioni organiche con i servizi medici e sanitari da offrire all’utenza ed a riservare, secondo una prassi seguita anche in diverse strutture ospedaliere, ai medici più anziani ed esperti i turni di “seconda reperibilità”, destinata a far fronte a situazioni di maggiore complessità e di concentrare sui medici meno anziani ed esperti gli interventi meno complicati assicurati dalla “prima reperibilità”.
L’affermazione è della Corte di Cassazione (4 aprile 2018, n. 8367), la quale precisa che, alla luce delle suddette considerazioni, gli ordini di servizio non avevano alcun carattere discriminatorio o vessatorio perché rivolti a più soggetti e finalizzati a rendere le prassi organizzative conformi alla disciplina contrattuale.
Nello specifico, con tali ordini era stato disposto che la reperibilità diurna feriale doveva essere assicurata dal medico in servizio nel reparto ed era stato precisato che tale medico avrebbe dovuto rispondere alle urgenze finché presente nel reparto stesso.
Si trattava, dunque, secondo i giudici, “di provvedimenti organizzativi a carattere generale e destinati, per questo, a tutti i medici soggetti al servizio di “pronta reperibilità” e non al solo dirigente ricorrente e che i medesimi miravano a conformare la prassi vigente all’interno del Presidio alle previsioni della contrattazione collettiva”. Peraltro, i turni assegnati al ricorrente, benché innegabilmente gravosi, non erano risultati più faticosi di quelli degli altri medici, coinvolti come lui, nei turni di “prima reperibilità”.
La Cassazione rigetta, pertanto, il ricorso del medico (e conferma la decisione di App. Ancona), precisando che non era stata offerta prova degli elementi costitutivi del mobbing ed in particolare, dal momento che per la configurabilità di una condotta mobbizzante devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente posti in essere – direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi – contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo; b) l’intento vessatorio unificante di tutti i comportamenti lesivi; c) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; d) ed il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità (v. Cass. nn. 17698/2014, 18836/2013, 12048/2011 e 7382/2010).