L’immodificabilità dell’orario di lavoro del part-time non è estensibile al contratto di lavoro a tempo pieno.
Nota a Trib. Milano, sez. lav., 7 novembre 2018, n. 2787
Andrej Evangelista
Per modificare la collocazione oraria della prestazione non è necessario l’accordo con il lavoratore full-time. I limiti allo ius variandi dell’imprenditore nei contratti di lavoro part-time non sono infatti estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno. Ciò, poiché nel lavoro a tempo parziale la programmabilità del tempo libero, eventualmente in funzione dello svolgimento di un’ulteriore attività lavorativa, assume un carattere essenziale che giustifica l’immodificabilità dell’orario da parte datoriale; mentre, nel lavoro a tempo pieno un’eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell’imprenditore di organizzare l’attività lavorativa.
È quanto affermato dal Tribunale di Milano 3 dicembre 2018, n. 2787, secondo cui nel rapporto di lavoro full-time, il datore di lavoro nell’esercizio dei poteri organizzativi riconosciutigli dagli artt. 2086, 2094 e 2104 c.c. può modificare, per esigenze dell’impresa, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti anche con riguardo alla distribuzione del lavoro nell’arco della giornata, “ancorché con un provvedimento unilaterale espressione dello ius variandi e del potere di organizzazione dell’impresa di cui all’art. 41 della Costituzione” (Cass. n. 587/1987 e Trib. Verona 21 dicembre 2015, n. 768).
Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale, la società datrice di lavoro (IKEA) ha giustificato il ricorso allo ius variandi sulla distribuzione dell’orario di lavoro in ragione della necessità di garantire la copertura di un coordinatore per tutte le aperture e chiusure aziendali. In ogni caso, osserva il Tribunale, la lavoratrice ricorrente non era autorizzata a violare la turnazione solo perché non condivisa, dovendo, invece, impugnare la nuova turnazione, “ma non certo autodeterminarsi il turno secondo le proprie, seppur legittime, esigenze, ma ignorando le disposizioni del datore di lavoro”.
L’insubordinazione della lavoratrice verso i superiori (peraltro accompagnata da comportamento oltraggioso) giustificano pertanto il provvedimento espulsivo.