È imputabile al datore di lavoro la morte per infortunio sul lavoro del dipendente non formato e istruito.
Nota a Cass. 10 ottobre 2018, n. 25102
Kevin Puntillo
“Il datore di lavoro è responsabile per la morte di un proprio dipendente se non lo ha informato sui rischi della mansione affidatagli e ha omesso di istruirlo sulle corrette modalità di esecuzione o sull’esistenza di eventuali condotte vietate”.
È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione (10 ottobre 2018, n. 25102), in relazione ad una fattispecie riguardante la morte del lavoratore che, nell’esecuzione della propria mansione (prelievo del mangime stoccato con una macchina operatrice, c.d. carro desilatore), non era stato informato in merito ai rischi connessi all’operazione e istruito quanto al tassativo divieto di avvicinarsi al materiale smottato.
Per i giudici di legittimità, in linea con il consolidato orientamento in materia di infortunio sul lavoro:
a) al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione, gravano sul datore di lavoro puntuali obblighi di informazione del lavoratore (Cass. n. 20051/2016);
b) anche la circostanza che un infortunio sul lavoro sia dovuto a “colpa” del lavoratore non è tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro, se questi non dimostri di avere fornite al prestatore “tutte le necessarie istruzioni per evitare di commettere l’errore che fu causa dell’infortunio” (Cass. n. 4718/2008);
c) peraltro, il datore di lavoro “è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, anche qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza” (Cass. n. 19494/2009);
d) per esonerare totalmente l’impresa da ogni responsabilità la condotta del lavoratore deve: per un verso, assumere i “caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento” (Cass. n. 3786/2009); e, per l’altro, integrare il cd. “rischio elettivo”, ossia un comportamento “personalissimo” del lavoratore, che risulti avulso dall’esercizio della prestazione lavorativa ovvero pur se ad essa riconducibile, esercitato ed intrapreso volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786/2014);
e) e, comunque, la colpa o la negligenza del lavoratore non devono necessariamente essere considerate concause dell’evento dannoso nel caso in cui “abbiano potuto esplicare efficacia causale solo a causa degli inadempimenti del datore di lavoro (Cass. n. 4718/2008).”