Disciplina dell’orario di lavoro
L’orario di lavoro è regolato dal D.LGS. 8 aprile 2003, n. 66 e dai ccnl, di qualsiasi livello, stipulati “da” organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative (art.1, co. 2, lett. m).
Tale disciplina si applica a tutti i settori di attività pubblici e privati (art. 2, co. 1) con numerose eccezioni. Non rientrano cioè nel campo di applicazione del D.LGS. n. 66/2003 alcune categorie come le forze armate, la polizia, i dirigenti, il personale direttivo ed i telelavoratori, anche se l’orario di lavoro non deve mai oltrepassare il limite dell’usura psicofisica, alla luce dell’art. 32 Cost. (artt. 2 e 17). Quanto al lavoro agile (c.d. smart working), esso è organizzato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, purché rispetti i “limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18, L. n. 81/2017).
Nozione di orario di lavoro (art. 1, co. 2, lett. a).
Il D.LGS. n. 66/2003 definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia: 1- al lavoro, 2- a disposizione del datore di lavoro “e” 3- nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni” (v., in questo sito, Cass., ord., 9 ottobre 2018, n. 24828, con nota di D. MARTINO, Orario di lavoro, messa a disposizione delle energie e temporanea inattività del prestatore).
I periodi di tempo esclusi. Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, non sono computabili come lavoro effettivo i seguenti periodi (art. 8, co. 3):
- i riposi intermedi (in cui il lavoratore ha disponibilità del proprio tempo).
- le pause (“soste”) di durata non inferiore ai 10 minuti e complessivamente non superiore a 2 ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesto alcun tipo di prestazione lavorativa (v. (le pause per allattamento, che spettano ad entrambi i genitori, sono invece considerate ore lavorative ai sensi dell’art. 39, co. 2, D.LGS. n. 151/2001). Si computano invece la pause di 15 minuti ogni 2 ore di applicazione continuativa imposte per gli addetti ai videoterminali ( Titolo VII° – artt. 172- 175 – D.LGS. n. 81/2008 e s.m.i.).
- il tempo viaggio (art. 8, co.3), impiegato dal lavoratore per recarsi sul posto di lavoro, a meno che non sia funzionalmente correlato alla prestazione (ossia rappresenti una mera esecuzione degli ordini datoriali e dell’assetto organizzativo aziendale, afferente le modalità operative e logistiche dell’attività), come nel caso in cui il dipendente, sia inviato, di volta in volta, in varie località per svolgere la prestazione lavorativa (c.d. tempo viaggio comandato).
- il tempo timbratura cartellino.
- il tempo tuta, intendendosi per tale il tempo necessario ad indossare gli indumenti da lavoro, rispetto al quale è necessario distinguere due ipotesi:
– il tempo tuta NON RIENTRA NELL’ORARIO DI LAVORO E NON VA RETRIBUITO quando il datore non ha il potere di scegliere tempo e luogo della vestizione: ove cioè il lavoratore abbia facoltà di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa di lavoro (anche, ad es., presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria («attività prodromica alla prestazione lavorativa») allo svolgimento dell’attività lavorativa, e, come tale, non deve essere retribuita. In tale ipotesi, atteso che l’inizio della prestazione lavorativa può essere individuato solo nel momento in cui inizia la soggezione al potere gerarchico e direttivo del datore di lavoro, potendo il dipendente concretamente scegliere i tempi e modi per indossare la divisa aziendale, il tempo occorrente per adempiere l’obbligo di indossare la tuta non si tramuta in attività retribuibile;
-il tempo tuta RIENTRA invece NELL’ORARIO DI LAVORO E VA RETRIBUITO quando la scelta del tempo e del luogo di vestizione è sottoposta al potere direttivo del datore di lavoro, vale a dire quando l’attività di vestizione del prestatore di lavoro risulta «eterodiretta» dal datore di lavoro, sulla base di specifiche disposizioni contrattuali, collettive od individuali; in altri termini, quando il datore di lavoro determina il «tempo» e il «luogo» in cui indossare la divisa aziendale, senza che residui alcun margine di autonomia decisionale per il prestatore di lavoro. In questo caso, dal momento che il lavoratore è obbligato alla vestizione sul luogo di lavoro, secondo condizioni e limiti stabiliti dal datore di lavoro, la relativa operazione va necessariamente retribuita in quanto si manifesta come attività strumentale ed ausiliaria al corretto svolgimento dell’attività lavorativa (v., in questo sito, Cass. 28 marzo 2018, n. 7738, con nota di F. GIROLAMI, La computabilità del c.d. “tempo-tuta” nell’orario di lavoro; Cass 14 novembre 2016, n. 23123, con nota di M.N. BETTINI, Tempo tuta e orario di lavoro; Trib. Milano 10 ottobre 2018, n. 2064, con nota di F. GIROLAMI, Lavoro a tempo parziale: mancata individuazione della distribuzione dell’orario di lavoro e retribuibilità del c.d. “tempo-tuta”);
- il tempo medici. Con riguardo ai medici ospedalieri, si distinguono due diverse situazioni (Corte di Giustizia UE 9 settembre 2003, C-151/03):
-tempo di guardia: le ore di guardia trascorse dal lavoratore al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro un termine breve devono essere considerate come “orario di lavoro” e, come tali, vanno retribuite (v. anche Corte di Giustizia UE 21 febbraio 2018, C-518/15, in questo sito con nota di F. GIROLAMI, Ore di guardia e orario di lavoro, e in DRI, 2018, 959, con nota di I. MOSCARITOLO, Le ore di guardia trascorse dal lavoratore al proprio domicilio con obbligo di recarsi nel luogo di lavoro in “tempi brevi” costituiscono “orario di lavoro”);
-tempo di reperibilità (cioè il medico non è sul luogo di lavoro, ma rimane disponibile a raggiungerlo): i lavoratori «pur essendo a disposizione del datore di lavoro, in quanto devono essere “raggiungibili” possono gestire il loro tempo in modo più libero e dedicarsi ai loro interessi». In questo caso, le ore non sono considerate orario di lavoro (v. anche, in questo sito, Trib. Bari, sez. lav., 13 gennaio 2016, con nota di K. PUNTILLO, Dirigente medico e pronta disponibilità; App. Perugia 26 aprile 2010, inedita, secondo cui “la pronta reperibilità, pur essendo un’obbligazione che trova causa nel rapporto di lavoro, non può essere equiparata alla prestazione effettiva di attività di lavoro, poiché è di tutta evidenza che la mera disponibilità all’eventuale prestazione incide diversamente sulle energie psicofisiche del lavoratore rispetto al lavoro effettivo e riceve diversa tutela dall’ordinamento”). Solo qualora vi sia una effettiva chiamata, le ore di lavoro prestate potranno essere computate a tutti gli effetti nell’orario di lavoro e come tali retribuite.
Tipologie dell’orario di lavoro
- Orario normale di lavoro: è fissato dalla legge in 40 ore settimanali (art. 3, co.1) e può essere ridotto dai ccnl di qualunque livello, i quali possono prevedere un orario inferiore alle 40 ore settimanali.
- Orario contrattuale multiperiodale (la fabbrica che respira): è fissato dai ccnl di qualunque livello e regolamenta la durata media della prestazione in un periodo non superiore ad 1 anno (art. 3, co. 2) (v., in questo sito, Cass. 15 dicembre 2016, n. 25919, con nota di K. PUNTILLO, Mancata ultrattività del ccnl e disciplina dei turni nel contratto aziendale, secondo cui il contratto aziendale (c.d. di prossimità) può legittimamente modificare in pejus le modalità dell’orario e dei turni di lavoro). Nell’orario multiperiodale vi sono settimane con orario superiore a 40 ore che vengono compensate da settimane con orario inferiore, in modo da rispettare, nell’arco temporale di riferimento, la media di 40 ore settimanali. Pur ammettendo tale sistema, tuttavia, la legge, per ragioni di tutela della salute e sicurezza del lavoratore, impedisce che, ad es., in un giorno si lavori 20 ore o che in una settimana si lavori 60 ore e, pertanto, impone di rispettare dei limiti massimi.
LIMITI MASSIMI: l’orario di lavoro non può superare 3 limiti :
- Orario massimo giornaliero = 13 ore. L’orario di lavoro non deve comunque mai oltrepassare il limite dell’usura psicofisica, in base all’art. 32 Cost. Inoltre, la Costituzione demanda alla legge la fissazione della “durata massima della giornata lavorativa” (art. 36, co. 2). Siccome la legge non la fissa esplicitamente, l’orario massimo giornaliero si può ricavare dall’art. 7 del D.LGS. n. 66/2003 che, riconoscendo al lavoratore il diritto a 11 ore consecutive di riposo per ogni periodo di 24 ore, impedisce che la prestazione giornaliera possa protrarsi per più di 13 ore.
- Orario massimo medio per settimana (calcolato) nei 4 mesi = 48 ore (art. 4). In questo caso, la media si riferisce all’orario settimanale in un periodo di 4 mesi (depurato di ferie e malattie – art. 6, co.1). Le 48 ore settimanali sono il limite massimo oltre il quale il lavoratore non può lavorare. La media delle 48 ore si calcola in un periodo di 4 mesi, elevabile (a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi ccnl) fino a 12 mesi dai ccnl (pena una sanzione amministrativa pecuniaria crescente in base al tempo della violazione ed al numero dei lavoratori, oltre al risarcimento del danno) e fino a 6 mesi con D.M. per ipotesi particolari (in mancanza di disciplina collettiva) (art. 17, co.2).
- Orario massimo insuperabile per ogni singola settimana = stabilito dai ccnl “stipulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative” (artt. 4 e 1, co.2, lett. m). Poiché l’orario massimo di 48 ore per ogni periodo di sette giorni è calcolato di media, è possibile che vi siano settimane che superino il limite delle 48 ore (compensate poi da altre settimane più “leggere”). Tuttavia, anche nella oscillazione della media, vi è un limite massimo insuperabile che deve essere rispettato in ogni singola settimana e che deve essere stabilito dai ccnl (art. 4, co.1).
M.N.B.