L’Agenzia delle Entrate, dopo la circolare n. 17/2017 e dopo la risoluzione n. 51/ 2018, è tornata di nuovo ad occuparsi del regime speciale previsto per i lavoratori impatriati dall’art. 16 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, con diversi interventi succedutisi a breve distanza tra loro. Vengono, in particolare, in rilievo la risoluzione n. 72/E del 26 settembre 2018, la risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018, la risposta n. 32 dell’11 ottobre 2018 e la risposta n. 45 del 23 ottobre 2018.

Prima di analizzarle singolarmente, si rende opportuna una breve ricognizione del regime di favore de quo. In base ad esso, il reddito di lavoro dipendente e, dal 2017, anche quello di lavoro autonomo, prodotto da lavoratori (italiani o stranieri) che hanno trasferito la propria residenza fiscale in Italia, concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% (70% solo nel 2016) del suo ammontare. Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Per poter beneficiare della suddetta agevolazione, i soggetti rientrati in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 o dal co. 2 della disposizione suindicata.

In particolare, ai sensi dell’art. 16, co. 1 del D.Lgs. n. 147/2015, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che:

– non sono stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno due anni;

– svolgono la propria attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che, direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;

– rivestono ruoli direttivi ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Il co. 2 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, invece, estende tale regime ai cittadini UE e, dal 2017, a quelli di Stati extra UE con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che soddisfano uno dei seguenti requisiti:

a) sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero di lavoro autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;

b) hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.

Con i provvedimenti summenzionati sono stati forniti chiarimenti circa i requisiti previsti dal co. 2 dell’art. 16.

Come si è visto, presupposto per accedere al regime agevolativo è che il soggetto non sia stato fiscalmente residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio in Italia.

Mentre per i soggetti di cui al co. 1 il periodo minimo di residenza all’estero è indicato espressamente dalla norma e corrisponde a cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento, per i soggetti di cui al co. 2 non è previsto nulla.

Secondo la risposta n. 32 del 11 ottobre 2018(e già secondo la  risoluzione n. 51/E del 2018),posto che il suddetto co. 2 stabilisce che i destinatari della agevolazione in esame devono aver svolto un’attività di lavoro/studio all’estero per almeno due anni antecedenti al trasferimento della residenza in Italia, ne discende che “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo”.

La risposta rammenta, inoltre, che, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia “le persone che per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

In altre parole, i soggetti in possesso dei requisiti previsti dal co. 2 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 possono avvalersi del regime speciale a condizione che nei due periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia, non risultino iscritti nelle anagrafi della popolazione residente, né abbiano avuto nel territorio dello Stato il centro principale dei propri affari e interessi, né la dimora abituale.

Il requisito relativo allo svolgimento di un’attività lavorativa all’estero in via continuativa per un minimo di 24 mesi può, invece, ritenersi soddisfatto(lo chiarisce la risoluzione n. 74/E del 26 settembre 2018) anche laddove l’attività lavorativa sia effettuata con diversi contratti presso più società appartenenti allo stesso gruppo multinazionale,essendo sufficiente che i rapporti contrattuali stipulati con tali società siano tra loro autonomi e distinti.

In dettaglio, la risoluzione ha origine da un’istanza di interpello promossa da un contribuente al fine di conoscere la possibilità di usufruire del regime agevolativo in esame una volta rientrato in Italia per svolgervi attività di lavoro alle dipendenze di una società appartenente allo stesso gruppo multinazionale di appartenenza della società presso la quale aveva lavorato all’estero. L’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto il beneficio al soggetto istante ritenendo sufficiente la residenza fiscale all’estero nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento in Italia (nel caso di specie il contribuente risultava iscritto all’AIRE dal 10 maggio 2016 e dichiarava di voler trasferire la residenza in Italia ad agosto 2018).

Infine, con la risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018 e la risposta n. 45 del 23 ottobre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori precisazioni. La questione sottoposta alla sua attenzione verteva sulla possibilità di accesso ai benefici fiscali in esame nel caso di lavoratori che rientravano in Italia dopo aver operato all’estero in regime di distacco. Il dubbio nasceva in particolare dalla circostanza che la normativa sugli impatriati non disciplina espressamente tale fattispecie.

Al fine di colmare tale vuoto legislativo, l’Agenzia delle Entrate con la circolare 23 maggio 2017, n. 17/E aveva già precisato che “il beneficio non compete ai soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all’estero ed aver acquisito la residenza estera per il periodo di permanenza richiesto dalla norma. Ciò in quanto il loro rientro avvenendo in esecuzione delle clausole del preesistente contratto di lavoro, si pone in sostanziale continuità con la precedente posizione di lavoratori residenti in Italia e, pertanto, non soddisfa la finalità attrattiva della norma”.

Tale posizione è stata, però, ritenuta eccessivamente restrittiva e non in linea con la vis attrattiva della norma. Aggiusta il “tiro” la risoluzione n. 76/E del 2018, che precisa doversi procedere ad un’attenta valutazione delle singole situazioni al fine di verificare che il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco, ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa.

Si tratta di situazioni che possono verificarsi nel caso in cui:

-il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia; il dipendente, pertanto, al rientro assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali acquisite all’estero;

– il distacco sia più volte prorogato e la sua durata nel tempo determini, quindi, un affievolimento dei legami con il territorio italiano e un effettivo radicamento del dipendente nel territorio estero.

Tale interpretazione è stata ribadita nella risposta n. 45 del 2018 in cui è stato messo in evidenza come, in presenza di tutti gli elementi richiesti dall’art. 16 del citato decreto, le peculiari condizioni di rientro dall’estero dei dipendenti, tra cui l’attribuzione di una nuova posizione in termini di competenze, responsabilità e condizioni economiche rispetto a quella precedente, non precludono ai lavoratori in posizione di distacco l’accesso al beneficio.

In definitiva, l’Agenzia delle Entrate, superando il precedente orientamento,ha espressamente riconosciuto la possibilità di fruire dell’agevolazione in esame anche ai soggetti impatriati in possesso del titolo di laurea, che hanno svolto un’attività lavorativa all’estero negli ultimi 24 mesi in posizione di distacco,a condizione che al loro rientro la posizione lavorativa ricoperta non si ponga in continuità con la originaria posizione lavorativa assunta in Italia.

In tal modo viene adottata una interpretazione estensiva in linea con la ratio della norma ovverosia incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni al fine di favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro Paese.

Marialuisa De Vita

Regime speciale dei lavoratori impatriati: i recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
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