Ai fini dell’annullamento delle dimissioni per incapacità temporanea non è necessaria una totale esclusione della capacità volitiva, essendo sufficiente anche solo un grave e temporaneo turbamento psichico che riduca la capacità di percezione dell’autore in ordine alle conseguenze del proprio atto.

Nota a Cass. 21 novembre 2018, n. 30126

Maria Novella Bettini

Per la “sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere (quale prevista dall’art. 428 c.c.) costituente causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, basta un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’importanza dell’atto che sta per compiere (v. Cass. n. 17977/2011 e Cass. n. 515/2004)”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (21 novembre 2018, n. 30126, con rinvio degli atti al giudice di merito per una nuova valutazione, sulla base del principio di diritto sopra enunciato) relativamente al caso di un lavoratore che, nel momento delle dimissioni, aveva mostrato un “notevole turbamento psichico”, pur non essendo in condizioni di “totale” esclusione della capacità psichica e volitiva; e, nello specifico, si era risolto a dimettersi (malgrado il serio pregiudizio dovuto alla mancanza di alternative di lavoro ed alla necessità di mantenere la famiglia) in ragione del contesto lavorativo, fonte di stress e di insoddisfazione, e tenendo conto delle conseguenti patologie contratte e diagnosticate dai medici curanti.

La Corte territoriale aveva escluso la configurabilità delle dimissioni come “il frutto di un momento di inconsapevolezza dell’agire, ritenendo il “notevole turbamento psichico”, pur se inserito in un quadro patologico diagnosticato (originato dallo stress e dall’insoddisfazione nel lavoro), non sufficiente ai fini della sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere (ai sensi dell’art. 428 c.c.).

Il giudice di legittimità giunge, invece, a conclusioni diverse, muovendo dalla premessa che l’accertamento delle dimissioni del lavoratore subordinato deve essere particolarmente rigoroso, in quanto le stesse comportano la rinunzia del posto di lavoro – bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost. – sicché occorre accertare che da parte del lavoratore sia stata “manifestata in modo univoco l’incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto stesso” (v. Cass. n. 4241/2015 e Cass. n. 8361/2014) e precisando che: a) “l’incapacità naturale consiste in ogni stato psichico abnorme, pur se improvviso e transitorio e non dovuto a una tipica infermità mentale o a un vero e proprio processo patologico”. È inoltre sufficiente che tale stato (con riferimento al momento in cui il negozio è posto in essere) abolisca o diminuisca “notevolmente le facoltà intellettive o volitive, in modo da impedire od ostacolare una seria valutazione degli atti che si compiono o la formazione di una volontà consapevole (v. Cass. n. 7485/2003 e n. 7784/1991); b) la prova dell’incapacità naturale può essere fornita con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, “che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità” (Cass. n. 4344/2000).

Dimissioni e grave turbamento psichico
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