Legittimo il licenziamento del direttore generale che annunci in una riunione il proposito di adottare una condotta non collaborativa con l’azienda. La comunicazione del recesso può riferirsi solo sinteticamente al fatto contestato, mentre la contestazione dell’addebito deve essere specifica.
Nota a Cass. (ord.) 3 dicembre 2018, n. 31156
Alfonso Tagliamonte
L’adozione di una strategia ostruzionistica nei confronti dei vertici societari e delle politiche adottate da parte del direttore generale, che finga di apparire collaborativo ed inviti gli stretti collaboratori ad operare nei suddetti termini, legittima il suo licenziamento per giusta causa e la sua sostituzione con altro dirigente.
Lo ha enunciato la Corte di Cassazione (ord. 3 dicembre 2018, n. 31156) relativamente al caso di un direttore generale di una società che aveva maturato un dissenso tale nei confronti dei vertici aziendali da volerne boicottare le decisioni, a fronte di un apparente atteggiamento collaborativo, ed aveva incitato i suoi collaboratori a comportarsi allo stesso modo.
La Corte ha inoltre precisato che:
a) la comunicazione del recesso può limitarsi a fare riferimento sintetico a quanto già contestato, poiché il datore di lavoro non è tenuto, neppure nel caso in cui il contratto collettivo preveda espressamente l’indicazione dei motivi, ad una motivazione “penetrante”, analoga a quella dei provvedimenti giurisdizionali (v. Cass. n. 2851/2006). Ciò, dal momento che l’elemento essenziale di garanzia in favore del lavoratore è costituito dalla contestazione dell’addebito (cfr., in motivaz., n. 1026/2015);
b) la contestazione dell’addebito, infatti, persegue lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e, pertanto, deve rivestire il carattere della specificità, fornendo le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque condotte che violino i doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. (v. Cass. n. 9540/2018; e Cass. n. 15006/2013).