Ancorare al criterio di convivenza preesistente il diritto del disabile di ricevere l’assistenza necessaria può rivelarsi inadeguato per la garanzia dell’interesse del disabile medesimo.
Nota a Corte Cost. 7 dicembre 2018, n. 232
Maria Novella Bettini
Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per i soggetti che beneficiano del diritto al congedo, pur se inteso come criterio prioritario, idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile, “non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico”.
Questo l’importante principio sancito dalla Corte Costituzionale 7 dicembre 2018, n. 232, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, co. 5, D.LGS. 26 marzo 2001, n. 151 (TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include fra i soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto (ed alle condizioni fissate dalla legge) “il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge”.
Secondo la Corte, in seguito all’estensione del congedo straordinario oltre la cerchia dei genitori, la legge ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, allo scopo di salvaguardare la continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto.
Tuttavia, la convivenza, che “non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura”, è ispirata ad una finalità di preminente tutela del disabile, che rischia di essere pregiudicata quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.
In altri termini, “l’ancoraggio esclusivo al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità del congedo straordinario, specialmente alla luce dei cambiamenti demografici in atto, come nel caso di disabilità determinate da “eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo” (Corte Cost. n. 203/2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).
Nello specifico, osserva la Corte, sotto il profilo oggettivo, il congedo in questione spetta:
a) solo per l’assistenza ad un soggetto in condizioni di disabilità grave e accertata, riscontrabile soltanto in presenza di una minorazione, “singola o plurima”, che “abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione” (art. 3, co. 3, L. n. 104/1992);
b) entro limiti temporali del congedo, legislativamente predeterminati, nel senso che esso “non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa” (art. 42, co. 5-bis, D.LGS. n. 151/2001);
c) secondo precisi parametri economici. Il congedo straordinario, infatti, è retribuito con “un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento” e costituisce un periodo di sospensione del rapporto di lavoro coperto da contribuzione figurativa. L’importo complessivo massimo dell’indennità e della contribuzione non può superare l’importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui (per il congedo di durata annuale). Tale importo è rivalutato annualmente, a decorrere dal 2011, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (art. 42, co. 5-ter, primo e secondo periodo, D.LGS. n. 151/2001);
d) con irrilevanza del periodo sospensivo della prestazione “ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto” (art. 42, co. 5-quinquies, primo periodo, D.LGS. n. 151/2001).
Da un punto di vista soggettivo, il congedo straordinario, così come i permessi di cui all’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992, non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona (art. 42, co. 5-bis, terzo periodo, D.LGS. n. 151/ 2001) ed è attribuito secondo una precisa gerarchia dei beneficiari (art. 42, co.5).
Anzitutto, il congedo spetta al coniuge convivente (legittimato a goderne entro 60 giorni della richiesta). Nell’ipotesi di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano il padre o la madre, anche adottivi. La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.
Nel caso poi di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla legge, sono beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi (Corte Cost. n. 203/201, cit.).
L’ambito di applicazione del congedo straordinario si è progressivamente esteso.
In particolare, il legislatore ha svincolato il beneficio dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave (art. 3, co. 106, L. 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)».
E la Corte Costituzionale ha gradualmente ampliato la platea dei beneficiari, includendo: a) in un primo momento, i fratelli o le sorelle conviventi con il disabile, anche nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio perché a loro volta inabili (sentenza n. 233/2005); b) e successivamente, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente (n. 158/2007) ed il figlio convivente, nell’ipotesi di assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura del disabile (n. 19/2009).
Gli interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti nel tempo hanno evidenziato l’esigenza di: 1) salvaguardare la cura del disabile nell’ambito della famiglia e della comunità di vita di appartenenza; 2) tutelarne efficacemente la salute; 3) preservarne la continuità delle relazioni; 4) e di promuoverne una piena integrazione (n. 158/2018, punto 7.2. del Considerato in diritto); 5) attivare interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie; 6) avvalorare la natura solidale dell’assistenza al disabile (n. 203/2013, punto 3.4. del Considerato in diritto); difendere il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita» (n. 213/2016, punto 3.4. del Considerato in diritto), quale elemento inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e l’effettiva integrazione e quale “fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana”.
Il complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale e che sono alla base della disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile (n. 215/1987, punto 6. del Considerato in diritto) appaiono coerenti con: A) i principi posti dalla Carta sociale europea (riveduta, con annesso, firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 9 febbraio 1999, n. 30), che garantisce al disabile “l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità” (art. 15); B) la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che tutela “il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità” (art. 26); C) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, siglata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 18, che, nel preambolo (punto x), prescrive di assicurare alle famiglie, “nucleo naturale e fondamentale della società”, la protezione e l’assistenza indispensabili per “contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”.
Nel senso che il controllo effettuato dal datore di lavoro, fuori dell’orario lavorativo, sulle condizioni per fruire del congedo (di cui all’art. 42, co. 5, D.LGS. n. 151/2001) per assistere un soggetto con handicap, può essere attuato tramite investigatori privati, v. Cass. (ord.) 12 settembre 2018, n. 22196, in questo sito, con nota di S. ROSSI, Assistenza ad un soggetto con handicap grave.