Il datore di lavoro, che ha versato al lavoratore una retribuzione maggiore del dovuto e ha operato ritenute fiscali erronee per eccesso, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo. Va esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Nota a Cass. 7 dicembre 2018, n. 31766
Marialuisa De Vita
“Nel rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto, opera ritenute fiscali erronee per eccesso; ne consegue che, in tale evenienza, il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente”.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7 dicembre 2018, n. 31766.
Nello specifico, un datore di lavoro procedeva con decreto ingiuntivo nei confronti di un lavoratore per ottenere la restituzione di somme erroneamente percepite da quest’ultimo. Il giudice di primo grado aveva, infatti, condannato il datore di lavoro a versare al lavoratore una somma di denaro per illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro a tempo determinato, somma di cui la Corte di appello modificava la natura e l’ammontare.
Alla tesi del datore di lavoro secondo cui nel quantum da restituire dovevano computarsi anche le ritenute fiscali operate sulle somme versate in eccesso al lavoratore si contrapponeva la tesi di quest’ultimo secondo cui le somme dovevano essere restituite al netto delle relative ritenute.
Con il provvedimento in commento la Suprema Corte, in conformità ad alcuni suoi precedenti (cfr. Cass. 25 luglio 2018, n. 19735; Cass. 20 luglio 2018, n. 19459), ha definito, innanzitutto, la portata applicativa dell’art. 38, co.1, del d.P.R. n. 602/1973, affermando che l’istanza di rimborso può essere presentata non solo in caso di errore materiale commesso dal soggetto erogante (nel caso di specie il datore di lavoro), ma anche in quello di duplicazione o inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. Si ha inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento – precisa la Corte di Cassazione – ad esempio, nel caso in cui l’obbligo di versamento sorto da una sentenza immediatamente esecutiva sia venuto meno per effetto della parziale riforma in appello della stessa (cfr. Cass. 20 ottobre 2011, n. 21699).
Passando al quantum da restituire, i Giudici di legittimità, in applicazione del principio generale per cui “il solvens non può ripetere dall’accipiens, in ogni caso, più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito”, hanno escluso in capo al lavoratore l’obbligo di restituzione delle somme corrispondenti alle ritenute operate e versate al fisco dal datore di lavoro. Quest’ultimo potrà ottenere la restituzione delle suddette somme agendo direttamente, ai sensi del citato art. 38 d. P.R. n. 602/1973, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e, dunque, presentando un’istanza di rimborso entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data in cui il versamento è stato eseguito (cfr. Cass. S.U. 26 giugno 2009, n. 15032).
In definitiva, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pretendere la restituzione degli importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Invece, il venir meno con effetto ex tunc dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione dell’art. 38, co. 1, del d.P.R. n. 602/1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo.