La richiesta di un orario di lavoro, i controlli sulla qualità del servizio reso, l’obbligo di indossare un abbigliamento consono ed il badge di identificazione, non qualificano il rapporto di lavoro come subordinato, se si accerta sotto il profilo dell’effettività ed alla luce del contenuto del contratto, la mancanza di uno stabile inserimento nell’organizzazione produttiva con assoggettamento al potere organizzativo del datore di lavoro.
Nota a Cass. 15 ottobre 2018, n. 25711
Marta Esposito
Secondo la giurisprudenza consolidata, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, oltre al potere direttivo che, per peculiari mansioni non è agevolmente apprezzabile (in ragione della natura intellettuale o professionale dell’attività svolta dal lavoratore), occorre fare riferimento, quali indizi probatori della subordinazione, a criteri complementari e sussidiari, come: il tipo di collaborazione; la continuità delle prestazioni; l’osservanza di un orario determinato; il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita; il coordinamento dell’attività lavorativa con l’assetto organizzativo del datore di lavoro; l’assenza, in capo al prestatore, di una sia pur minima struttura imprenditoriale (v. Cass. S.U. n. 379/1999 e la recente Cass. n. 9401/2017).
“Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui le parti abbiano convenuto un determinato assetto del rapporto tra loro intercorrente, nel qual caso è necessario dimostrare che l’essenziale elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nel concreto svolgimento del rapporto medesimo.”
A statuirlo è la Corte di Cassazione (15 ottobre 2018, n. 25711), in relazione al ricorso di un dipendente volto all’accertamento dell’illegittimità di contratti di lavoro di varia tipologia (collaborazioni coordinate e continuative e contratti di lavoro a progetto), succedutisi nel tempo con il medesimo datore di lavoro, e della conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo al datore medesimo.
La Corte ha ribadito poi che la formale qualificazione del contratto individuale “non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato” (cfr., tra le tante, Cass. n. 9401/2017, cit.; Cass. n. 7024/2015; Cass. n. 22289/2014). Tuttavia, il “nomen juris” adoperato dai contraenti, anche se “sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l’autonomia e la subordinazione” (Corte Cost. n. 76/2015).
Per i giudici di legittimità, la Corte di Appello di Milano, nell’escludere l’esistenza di un rapporto di lavoro caratterizzato dal vincolo della subordinazione, ha correttamente applicato nel caso di specie i principi sopra richiamati, avendo verificato, in esito all’esame degli accordi intercorsi tra le parti e delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, che non era risultato provato uno stabile inserimento nell’organizzazione produttiva con assoggettamento al potere organizzativo del datore di lavoro, poiché l’orario di lavoro richiesto, i controlli sulla qualità del servizio reso, l’obbligo di indossare un abbigliamento consono ed il badge di identificazione costituivano “regole minime compatibili con la natura autonoma della prestazione”.
(In argomento, v. anche, in questo sito, Cass. 9 gennaio 2018, n. 280 e 16 gennaio 2018, n. 855, con nota di G. CATANZARO, Subordinazione e svolgimento dell’attività lavorativa; Cass. 8 giugno 2017, n. 14296, con nota di F. IACOBONE, Gli indici della subordinazione; e, in relazione al Pubblico Impiego, Cass. 6 novembre 2018, n. 28250, con nota di S. GIOIA, Subordinazione e pubblico impiego).