Il danno esistenziale da demansionamento può essere provato attraverso tutti gli strumenti probatori apprestati dall’ordinamento e, pertanto, anche mediante l’allegazione di presunzioni ex art. 2729 c.c.

Nota a Cass. ord. 3 gennaio 2019, n. 21

Sonia Gioia

In tema di demansionamento, il danno esistenziale – ossia  ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva o interiore, ma oggettivamente accertabile sul fare areddituale del soggetto – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (Cass. ord. n. 21/2019), che ha rigettato il ricorso, proposto da Poste Italiane SpA, avverso la pronuncia di merito (Trib. Campobasso n. 54/2016) che aveva rilevato la dequalificazione della posizione e dell’inquadramento professionale di una lavoratrice, la quale, dopo aver svolto funzioni di vice direttore, era stata assegnata a mansione di responsabile di un’unica unità produttiva nel settore “pacchi in transito” con compiti ridotti al mero controllo della sussistenza dei pacchi e dei riepiloghi mensili.  La società ricorrente, in proposito, lamentava l’insufficienza di prove, stante la mancata allegazione di circostanze fattuali dalle quali inferire l’esistenza di un concreto pregiudizio, nonché la violazione del principio di valutazione delle stesse.

La Corte, al riguardo, ha precisato che:

– non è necessario che la sentenza dia conto di tutte le risultanze probatorie purché il fatto storico, nel caso di specie, il demansionamento, sia stato rilevato con motivazioni logiche e congrue (v. infra multis, Cass. n. 8053/2014);

– il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti; il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito agli elementi utilizzati (v. Cass. n. 14911/2010, Cass. n. 14212/2010, Cass. n. 3125/2002, Cass. S.U. n. 898/1999);

– pur non essendo, nel demansionamento, configurabile un danno in re ipsa, la prova di simile pregiudizio può essere data, ai sensi dell’art. 2729 c.c., anche attraverso la allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione (cfr. Cass. n. 29832/2008, Cass. n. 14729/2006).

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva ritenuto obiettivamente mortificanti per la lavoratrice condotte quali l’estromissione dalla commissione esaminatrice per un concorso interno, addirittura con sostituzione di una dipendente dell’Area Operativa, il parallelo avanzamento in carriera di dipendenti con qualifica inferiore, il silenzio datoriale in risposta alle legittime richieste di mansioni adeguate alla qualifica, le compromesse documentate condizioni di salute fisica e psichica concausalmente riconducibili al disagio prodotto alla dipendente nell’ambito lavorativo, oltre alla minore ampiezza qualitativa e quantitativa delle nuove mansioni, che avevano determinato un depauperamento della sua professionalità.

Il disagio esistenziale è “da intendere come ogni pregiudizio provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno” (v. Cass. n. 82/2018, annotata in questo sito da G. ROSSINI, Danno esistenziale e onere della prova). Tale pregiudizio, in altri termini, determina una modifica peggiorativa  consistente in uno sconvolgimento delle abitudini personali, con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare (v. Cass. n. 14402/2011). Tale pregiudizio, riconducibile alla categoria del danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c.,  può essere provato – fermo restando il prudente apprezzamento del giudice- anche mediante il ricorso a fatti notori, massime di esperienza e, come ribadito dalla pronuncia in questione, presunzioni che abbiano i caratteri della precisione, gravità e concordanza.

Il demansionamento dimostrabile anche per presunzioni
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