Anche per i licenziamenti intimati nelle aziende minori, l’indennità risarcitoria deve essere quantificata secondo i parametri indicati dalla Corte Costituzionale per le imprese di grandi dimensioni.
Nota a Trib. Genova 21 novembre 2018
Francesco Belmonte
In caso di licenziamento illegittimo intimato nelle aziende di ridotte dimensioni, la misura del risarcimento del danno non può essere commisurata soltanto all’anzianità di servizio del dipendente, ma deve tenere conto anche di ulteriori criteri, quali il numero di dipendenti occupati dall’impresa, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti, espressamente richiamati dalla Corte Costituzionale (8 novembre 2018, n. 194) per i licenziamenti intimati nelle grandi imprese.
A stabilirlo è il Tribunale di Genova (11 novembre 2018) in relazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al direttore responsabile di una testata giornalistica (assunto il 6 dicembre 2016) in ragione di un riassetto organizzativo attuato dall’azienda.
Come noto, il regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti intimati ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 nelle imprese di piccole dimensioni [sono tali, secondo l’art. 2, co. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108, quei datori di lavoro (imprenditori e non) che occupano alle loro dipendenze fino a 15 dipendenti – 5 per le imprese agricole – ovvero fino a 60 su tutto il territorio nazionale], qualora non ricorrano “gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, è contemplato dall’art. 9, co.1, D.LGS. 4 marzo 2015, n. 23.
In particolare, in tali ipotesi la legge prevede la risoluzione del rapporto di lavoro e il pagamento, in favore del dipendente, di un’indennità risarcitoria, parametrata (esclusivamente) all’anzianità di servizio del prestatore, di importo “dimezzato” [1 mensilità (anziché 2) dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di 3 (anziché 6) e comunque non superiore ad un massimo di 6 mensilità], rispetto a quanto previsto per le grandi imprese dall’art. 3, co. 1, D.LGS. n. 23/2015 (come mod. dall’art. 3, co. 1, D.L. 12 luglio 2018, n. 87, conv. dalla L. 9 agosto 2018, n. 96 – c.d. Decreto Dignità).
Tuttavia, nel caso di specie, il giudice genovese, muovendo dall’obiter dictum del Giudice delle Leggi ed in virtù di una lettura della norma conforme alla richiamata sentenza, censura il meccanismo di predeterminazione forfettaria del risarcimento del danno di cui all’art. 9, co.1, D. LGS. n. 23/2015, seppur quest’ultimo non abbia subito alcuna censura di incostituzionalità.
Per il Tribunale, è inevitabile valutare l’incidenza della pronuncia n. 194/2018 anche sull’applicazione della disposizione in commento, “sia perché questa norma richiama direttamente quella dell’art. 3, co. 1, per assumere la base di calcolo dell’indennizzo dovuto ai dipendenti delle piccole imprese; sia perché adotta lo stesso congegno, ancorato esclusivamente all’anzianità di servizio (diversamente dall’omologa disposizione dell’art. 8 L. n. 604/66, indicata dalla Consulta come modello costituzionalmente corretto)”.
«Le argomentazioni della sentenza n. 194/2018 muovono da considerazioni che investono la “predeterminazione forfettizzata del risarcimento del danno” alla luce dei principi generali dell’ordinamento. All’interno del disposto dell’art. 9, co. 1, non v’è un elemento, neppure d’ordine sistematico, che renda ragionevole discostarsene per il solo fatto che l’impresa datrice di lavoro sia priva del requisito dimensionale dell’art. 18 L. n. 300/70.»
«Onde evitare un’applicazione contrastante col pronunciamento della Corte costituzionale, deve ritenersi che il rinvio “all’ammontare dell’indennità e dell’importo previsti dall’art. 3, comma 1 …” (n.d.r. operato dall’art. 9, co. 1, D. LGS. cit.) vada letto in riferimento a tutti i criteri risarcitori indicati dalla sentenza n. 194/2018».
«Rimettendo al giudice una valutazione più lata del valore dell’indennizzo risarcitorio, questa soluzione interpretativa, costituzionalmente orientata, incontra il medesimo confine rappresentato dal “rispetto dei limiti, minimo e massimo” previsti dalla disposizione applicata, secondo l’espressione usata dalla Corte. Nel caso dell’art. 9, co. 1, D.LGS. n. 23/2015 il limite dettato dal legislatore è soltanto massimo».
Pertanto, la determinazione dell’ammontare dell’indennità deve incontrare come unico limite il tetto massimo di 6 mensilità fissato dalla legge.