Il lavoratore va reintegrato qualora si desuma l’intento ritorsivo quale unico motivo determinante del recesso.

 Nota a Trib. Latina 18 ottobre 2018, n. 963

Valerio Di Bello

Il licenziamento ritorsivo (vietato dagli artt. 4, L. n. 604/1966, 15, Stat. Lav. e 3 L. n. 108/1990) “costituisce l’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni” (v. Cass. n. 17087/2011).

È quanto affermato dal Tribunale di Latina con decisione del 18 ottobre 2018, n. 963 (relativamente ad un licenziamento irrogato all’esito di una procedura di mobilità, determinato da una contrazione delle commesse con conseguente riduzione della necessità di personale in ciascuno dei reparti in cui l’attività veniva svolta).

Il Tribunale ha ritenuto ritorsivo il licenziamento collettivo in considerazione della palese estraneità del lavoratore alle ragioni addotte per la riduzione del personale e della mancata inclusione della posizione del dipendente tra quelle indicate in esubero ai sensi dell’art. 4., co. 3, L. n. 223/1991. Tali considerazioni, secondo i giudici, erano tali da far presumere che l’unico motivo determinante del licenziamento fosse il collegamento con le pregresse azioni giudiziarie avviate dal dipendente.

Pertanto, accertata la natura illegittima del licenziamento collettivo, il Tribunale ha condannato il datore di lavoro a reintegrare il ricorrente.

Licenziamento collettivo e motivo ritorsivo
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