È incostituzionale il diniego dell’indennità di maternità per le lavoratrici assenti dal lavoro a causa dell’assistenza al coniuge o al figlio gravemente disabili.
Nota a Corte Cost. 13 luglio 2018, n. 158
Francesco Belmonte
Le dipendenti beneficiarie del congedo c.d. “straordinario” (ex art. 42, co. 5, D.LGS. n. 151/2001) per assistere il familiare portatore di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, co. 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, non possono essere escluse dal godimento dell’indennità giornaliera di maternità (ai sensi dall’art. 24, co. 2, D.LGS. n. 151/2001) qualora si siano assentate dal lavoro per più di 60 giorni antecedenti l’inizio del periodo di astensione obbligatoria.
A stabilirlo è la Corte Costituzionale (13 luglio 2018, n. 158), chiamata a pronunciarsi sulla conformità agli artt. 3, 31, co. 2, 37, co. 1 e 117, co. 1, Cost. dell’art. 24, co. 3, D.LGS. n. 151/2001, “nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, co. 5, D.LGS. n. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni”.
Le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate dai Tribunali di Torino (ord. n. 130/2017) e Trento (ord. n. 47/2018) in seguito al rifiuto dell’INPS di corrispondere l’indennità di maternità a due lavoratrici assenti dal lavoro (per più di 60 giorni) a causa della necessità di assistere il coniuge (fattispecie esaminata dal Tribunale di Torino) e il figlio (fattispecie esaminata dal Tribunale di Trento) in condizioni di disabilità grave.
Per l’Ente previdenziale tale rifiuto si giustificava sull’assunto che la previsione in commento annovera tassativamente le ipotesi che non rientrano nel computo dei 60 giorni (“le assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro”; il “periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità”; il “periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento”; e il “periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale”), tra le quali non sono comprese le assenze dal lavoro dovute alla fruizione del congedo per l’assistenza del coniuge o del figlio affetti da handicap grave.
Ad avviso dei giudici a quibus, però, tale omissione pregiudicherebbe, per un verso, “il diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo famigliare” e quello della dipendente di prestargli assistenza “(laddove imponga a quest’ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’astensione obbligatoria)”; e, per l’altro, sacrificherebbe, “la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre”, vanificando “la speciale protezione della maternità garantita dalla Carta fondamentale” (artt. 31 e 37 Cost.).
La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresì, dell’art. 3 Cost., in quanto, “in difetto di ogni ragionevole giustificazione, riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili”, rispetto a quella assente per “malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento” o in relazione all’ipotesi “della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale”.
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate tali questioni considerato che l’assetto così delineato dal legislatore, seppur nell’ambito di scelte discrezionali, pregiudica “la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.”
Pertanto, in ragione di tali particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, la Corte Cost. “impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, co. 3, D.LGS. n. 151/2001”, anche alle ipotesi di congedo “straordinario” fruito dalla lavoratrice gestante.