L’astensione ingiustificata del dipendente dall’attività lavorativa, non comportando obbligo retributivo, non configura neppure un credito contributivo.
Nota a Cass. ord. 7 febbraio 2019, n. 3661
Flavia Durval
A fronte della condotta illegittima della lavoratrice che si rifiuti di prestare attività lavorativa, non sussiste l’obbligo di corrispondere la retribuzione e ciò esclude la configurabilità dell’obbligazione contributiva, stante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e la corrispettività delle prestazioni.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (7 febbraio 2019, n. 3661; v. anche Cass. n. 24109/2018; n. 7473/2012) la quale chiarisce che in mancanza di obbligo retributivo per assenza di prestazione non è configurabile credito contributivo in quanto la retribuzione “è collegata alla prestazione effettiva del lavoro, non soltanto ai fini della sua commisurazione (ai sensi dell’art. 36 Cost.), ma anche per la stessa configurazione del relativo diritto, il quale non sorge ex se in ragione della esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone – per la natura sinallagmatica del contratto di lavoro – la corrispettività delle prestazioni”.
La Corte, inoltre, sintetizza alcuni principi fondamentali in tema di obbligazione contributiva:
a) il lavoratore (in base agli artt. 39, L. n. 153/1969; 4, L. n. 467/1978) gode di un “vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa” (v. Cass. n. 9850/2002; n. 379/1989);
b) il prestatore, qualora non trovi applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2116 c.c., ovvero subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, ha diritto ad essere risarcito dal datore di lavoro in base all’art. 2116, co. 2, c.c.;
c) l’azione a tutela della posizione previdenziale del lavoratore può avere ad oggetto “la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione non prescritta ma in tal caso va chiamato necessariamente in giudizio anche l’Ente previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell’obbligazione contributiva” (v. Cass. n. 19398/2014);
d) qualora, invece il credito contributivo sia prescritto, si giustifica l’azione risarcitoria purché si siano realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale. Tale situazione determina infatti l’attualizzarsi, per il lavoratore, del “danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante” (Cass. n. 27660/2018; n. 3790/1988);
e) nell’ambito delle tutele risarcitorie determinate dalle omesse od irregolari contribuzioni previdenziali si situano: 1) la previsione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione che spetterebbe riguardo ai contributi omessi (ex 13, co. 1, L. n. 1338/1962); 2) l’azione del lavoratore volta ad ottenere lo stesso trattamento dal datore di lavoro inadempiente, azione soggetta al termine ordinario di prescrizione, “decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva” (Cass. S.U. n. 21302/2017);
f) circa l’individuazione degli atti idonei ad interrompere il decorso del termine prescrizionale del credito contributivo, in relazione al disposto di cui all’art. 55, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, “l’effetto interruttivo della prescrizione dei contributi di assicurazione obbligatoria (il cui decorso preclude la possibilità di effettuare versamenti a regolarizzazione dei contributi arretrati) si verifica solo per effetto degli atti, indicati dall’art. 2943 c.c., posti in essere dall’INPS (titolare del relativo diritto di credito), e non quando anche uno di tali atti sia posto in essere dal lavoratore, come nell’ipotesi di azione giudiziaria da questi proposta nei confronti del datore di lavoro (Cass. n. 7104/1992);
g) il competente ente previdenziale, cui il lavoratore abbia comunicato l’omissione contributiva del datore di lavoro, che non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi (in quanto obbligato ex 1175 e 1176 c.c., alla diligente riscossione di un credito proprio volto a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore) è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore stesso “ove a quest’ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13, L. n. 1338/1962, o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c.” (Cass. n. 7459/2002). Ciò, poiché se il lavoratore non si è attivato per ottenere l’adempimento nei confronti del soggetto obbligato, non è prevista, dalle disposizioni normative in materia, la regolarizzazione della posizione assicurativa, in quanto la tutela del lavoratore resta affidata alla procedura di costituzione della rendita vitalizia (qualora ne ricorrano gli specifici presupposti – Cass. n. 6569/2010 -).