La normativa assicura un congruo bilanciamento tra il diritto degli avvocati all’astensione e i diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Nota a Corte Cost. 31 gennaio 2019, n. 14
Fabrizio Girolami
La Corte Costituzionale, con sentenza 31 gennaio 2019, n. 14 ha ritenuto non meritevoli di accoglimento le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, 2 e 5, della L.12 giugno 1990, n. 146 (recante “Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge”) sollevate dalla Corte d’appello di Venezia con riferimento alle astensioni degli avvocati dalle udienze.
Nella vicenda di specie, il giudice d’appello, con ordinanza 24 maggio 2017, depositata il 1° dicembre 2017, aveva ipotizzato l’illegittimità delle sopra citate norme nella parte in cui – nell’ipotesi di plurime astensioni degli avvocati dalle udienze accomunate, per espressa dichiarazione dell’associazione promotrice, dalle medesime ragioni di protesta – non prevedono che la preventiva comunicazione obbligatoria del periodo dell’astensione e della relativa motivazione debba riguardare tutte le iniziative tra loro collegate, con l’indicazione di un termine finale, e non la singola astensione di volta in volta proclamata.
La questione di legittimità era stata sollevata con riferimento ai principi costituzionali di “ragionevolezza” ed “efficienza” del processo penale di cui agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione e all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) 4 novembre 1950 in relazione a plurime astensioni dell’avvocatura penale associata, tra di loro collegate nelle motivazioni in quanto finalizzate a contestare le misure introdotte dal disegno di legge contenente modifiche organiche al codice penale e di procedura penale.
Nello specifico, la Corte veneziana aveva ritenuto che, essendo la disciplina di legge concepita con riferimento a singole iniziative di astensione, la reiterazione di astensioni collettive avvinte da un’unica finalità imporrebbe “un diverso apprezzamento” e una “nuova valutazione in termini di ragionevolezza”, in quanto la proclamazione dell’astensione comunicata di volta in volta inciderebbe sull’efficienza del processo penale, contravvenendo, con effetto elusivo, alla stessa ratio sottostante l’obbligo del preavviso. Inoltre, l’impossibilità per il giudice di conoscere con congruo anticipo le date delle astensioni collegate arrecherebbe un grave vulnus all’esercizio della giurisdizione in termini di disagio dei soggetti direttamente coinvolti nell’attività giudiziaria e di controllo democratico del funzionamento della stessa.
Nel dichiarare in parte “inammissibili” e in parte “infondate” le argomentazioni dedotte, la Corte Costituzionale ha, in via preliminare, ribadito il proprio consolidato orientamento (espresso nelle sentenze 10 luglio 2018, n. 180, in questo sito, con nota di F. GIROLAMI, L’astensione collettiva dalle udienze degli avvocati penalisti in presenza di imputati sottoposti a custodia cautelare e 27 maggio 1996, n. 171) in forza del quale l’astensione dalle udienze degli avvocati non è riconducibile alla nozione del “diritto di sciopero” tutelato dall’art. 40 Cost., essendo quest’ultimo un esclusivo strumento di tutela degli interessi collettivi dei lavoratori subordinati, trattandosi di “manifestazione incisiva della dinamica associativa” finalizzata alla tutela di una “forma di lavoro autonomo”, in relazione alla quale è identificabile un vero e proprio “diritto di libertà” collegato al “diritto di associazione” garantito dall’art. 18 Cost.
La Corte inoltre – sul presupposto che l’amministrazione della giustizia costituisce un “servizio pubblico essenziale” di primaria rilevanza, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione, in cui sono implicati diritti di rilievo costituzionale (diritto di azione e di difesa; diritto alla libertà personale) – ha stabilito che le astensioni dalle udienze degli avvocati sono legittime qualora esercitate nel rispetto delle “regole” e delle “procedure” (dirette a garantire il godimento dei diritti fondamentali della persona) stabilite: a) dalla normativa “primaria” (di cui alla L. n. 146/1990); b) dalla normativa “subprimaria” di cui al “codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati” adottato in data 4 aprile 2007 dall’Organismo unitario dell’avvocatura (OUA) e da altre associazioni categoriali (Unione camere penali italiane-UCPI, Associazione nazionale forense-ANF, Associazione italiana giovani avvocati-AIGA, Unione nazionale camere civili-UNCC) e valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007.
Il giudice costituzionale rileva che la disciplina primaria garantisce un equo “bilanciamento” tra il diritto degli avvocati all’astensione e i diritti della persona costituzionalmente tutelati, laddove (art. 2, co. 5, L. n. 146/1990) prescrive che il preavviso di astensione non può essere inferiore a 10 giorni e che nella sua comunicazione deve essere indicata una durata compatibile con la tutela dei diritti fondamentali, in modo da garantire le “prestazioni indispensabili”, nonché ben determinata con la fissazione del termine iniziale e finale.
Inoltre, ai sensi di quanto disposto dal codice di autoregolamentazione (normativa “subprimaria”): a) “ciascuna proclamazione deve riguardare un unico periodo di astensione e deve essere preceduta da un preavviso minimo di 10 giorni” (art.2, co. 4); b) tra la proclamazione e l’effettuazione dell’astensione non può intercorrere un periodo superiore a 60 giorni (art. 1, co. 4).
Secondo la Corte Costituzionale, la circostanza che una singola proclamazione, come quella posta in essere nel caso di specie, risulti preceduta da altre, nel contesto di uno stesso stato di agitazione della categoria, e possa essere seguita da altre analoghe comporta che, oltre al limite del preavviso minimo di 10 giorni (e massimo di 60), devono essere rispettati anche i limiti temporali di durata prescritti dal codice di autoregolamentazione.
In particolare, l’art. 2, co. 4, del codice di autoregolamentazione prescrive che l’astensione non può superare 8 giorni consecutivi, con l’esclusione dal computo della domenica e degli altri giorni festivi. Inoltre, con riferimento a ciascun mese solare, non può comunque essere superata la durata di 8 giorni, anche se si tratta di astensioni aventi a oggetto questioni e temi diversi. In ogni caso tra il termine finale di un’astensione e l’inizio di quella successiva deve intercorrere un intervallo di almeno 15 giorni.
La Consulta rileva altresì che le sopra citate prescrizioni limitative della richiamata normativa (primaria e subprimaria) “non esauriscono l’apparato di tutele”, in quanto il bilanciamento tra il diritto di astensione degli avvocati e i diritti della persona costituzionalmente tutelati è garantito, da un lato, dal potere attribuito alla Commissione di garanzia per gli scioperi (art. 4, co. 4-quater, L. n. 146/1990, norma applicabile anche nei casi di astensione collettiva degli avvocati) di attivare il “procedimento di valutazione del comportamento delle organizzazioni sindacali” che proclamano lo sciopero o vi aderiscono e, dall’altro, dall’attivazione, anche su segnalazione della Commissione, dei poteri pubblici ai fini dell’emanazione della cd. “ordinanza di precettazione” (ai sensi dell’art. 8, L. n. 146/1990), nel caso di “fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”.
Alla luce di tale articolato iter argomentativo, la Consulta ha ritenuto che la sopra esposta complessiva “rete di protezione” – da una parte, i limiti (di legge e autoregolamentari), che valgono in generale, e, dall’altra, anche il possibile intervento della Commissione di garanzia e, nei casi estremi, del potere pubblico – è di per sé idonea ad assicurare “la congruità del bilanciamento, in riferimento agli evocati parametri, tra il diritto degli avvocati di astensione collettiva e la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, di cui all’art. 1 della legge n. 146 del 1990, per la protezione dei quali devono essere erogate in ogni caso le prestazioni indispensabili”.
Ne deriva, quindi, secondo la Corte la “manifesta inammissibilità” e la “non fondatezza” delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, co.1, 2 e 5, della L. n. 146/1990 sollevate dal giudice di merito rimettente.