Le somme percepite a titolo di risarcimento per perdita di chance non sono tassabili.
Nota a Cass. ord. 7 febbraio 2019, n. 3632
Flavia Durval
Il lavoratore che subisca una perdita di chance a seguito di irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno alla sua banca datrice di lavoro per la promozione a funzionario ha diritto al risarcimento del danno, quale «danno emergente», risarcibile a prescindere da un pregiudizio patrimoniale futuro. Tale risarcimento non ha natura reddituale e non è assoggettabile a tassazione (in termini, Cass. n. 11322/2003). Le somme percepite a titolo di risarcimento del danno sono, in effetti, imponibili se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare il danno derivante dalla mancata percezione dei redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa, quale la perdita di chance.
Tale principio applicativo è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 7 febbraio 2019, n. 3632), in linea con una precedente pronuncia (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29579), sul presupposto che la c.d. chance non costituisce una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione quale danno non già attuale, bensì futuro, rappresentato dalla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale ( Cass. n. 2737/2015; Cass. n. 18207/2014; Cass. n. 16877/2008).
In applicazione di tali principi, la Cassazione nell’ordinanza in esame ha ritenuto non tassabile l’importo corrisposto ad un dipendente a titolo di risarcimento del danno per perdita di chance, quantificato, “facendo ricorso al criterio di valutazione equitativa, con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito”.
In tema di concorsi e di disciplina del rapporto di lavoro in genere, con specifico riguardo alla mancata promozione o alla preclusa possibilità di accedere alle qualifiche superi, v. Cass. n. 8470/1996; a sua volta, Cass. 18 gennaio 2006, n. 852, ha distinto il danno da mancata promozione da quello da perdita di chance: nel primo caso, il lavoratore, che richieda il risarcimento del danno, deve provare l’illegittimità del concorso e in caso di espletamento di procedura concorsuale legittima, la propria, certa, inclusione nell’elenco dei promossi; nel secondo caso, presupposta la irrimediabile perdita di chance a causa dell’irripetibilità del concorso con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quello ritenuto illegittimo, il lavoratore deve provare il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile. Ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente alla perdita dei vantaggi – di natura economica e normativa – connessi alla qualifica superiore, il danno da perdita di chance può solo essere commisurato alla perdita dei predetti vantaggi, in ragione del grado di probabilità, esistente al momento dell’illegittima esclusione, di conseguire la promozione.
Sul piano probatorio, per ottenere il riconoscimento della pretesa risarcitoria per la perdita di chance è sufficiente dimostrare la semplice probabilità della chance, accompagnata dalla constatazione che il bene rivendicato è perso e che vi è un nesso di causalità tra l’attività lesiva e la perdita della chance. L’elemento probabilistico risulta pertanto costituire il fattore fondamentale da accertare per riconoscere ad una mera possibilità la configurazione necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per essere tutelata sul piano giuridico; il lavoratore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance ha comunque l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato, che sia stato impedito dalla condotta illecita del datore di lavoro, della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta (Cass. 12 aprile 2017, n. 9392; Cass. 17 marzo 2017, n. 6988).
(Sulla perdita di chance, v., in questo sito, G.I. VIGLIOTTI, Dimissioni per giusta causa: al dirigente spettano i premi a titolo di perdita di chance, nota a Cass. ord. 30 gennaio 2018, n. 2293).