Il giornalista collaboratore fisso non iscritto all’albo ha diritto, in base all’art. 2126 c.c., anche alla contribuzione previdenziale.

Nota a Cass. 4 febbraio 2019, n. 3177

 Paolo Pizzuti

Per l’esercizio della professione di giornalista collaboratore fisso, è necessaria l’iscrizione all’albo dei giornalisti (oggi, all’elenco dei giornalisti professionisti), pena la nullità del contratto, con applicazione dell’art. 2126 c.c., secondo cui “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (4 febbraio 2019, n. 3177), la quale precisa che tale ipotesi non comporta la nullità del contratto per illiceità della causa o dell’oggetto e che resta escluso (fra gli effetti fatti salvi dalla disposizione codicistica) il diritto di continuare a rendere la prestazione o di pretenderne la esecuzione.

Pertanto, qualora sia accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro giornalistico, esercitato in mancanza di iscrizione nell’albo professionale ed in presenza della sola iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, “il giudice deve limitarsi a riconoscere il diritto alle differenze retributive ai sensi dell’art. 2126, co. 1, c.c., ma non può ordinare la riassunzione del lavoratore assumendone l’illegittimo licenziamento, atteso che nel contratto affetto da nullità per violazione di norma imperativa non è concepibile un negozio di licenziamento e non sono configurabili le conseguenze che la legge collega al recesso ingiustificato”.

Inoltre, il lavoratore ha diritto al trattamento economico e previdenziale, che trova fondamento nella natura dell’attività svolta (v. Cass. n. 1256/2016). Ed infatti, l’iscrizione nell’albo professionale di cui all’art. 45 L. n. 69/1963 (e successive modifiche ed integrazioni) “condiziona la validità del contratto senza contraddire le esigenze di regolamentazione del periodo di esecuzione dello stesso sotto il profilo della contribuzione previdenziale e di quello della tutela della disoccupazione involontaria, a salvaguardia dei diritti del lavoratore” (v. Cass. n. 9339/2013). Ciò, anche se non sorge lo specifico obbligo dell’assicurazione presso l’ I.N.P.G.I., che trova fondamento nell’iscrizione all’Albo.

Con specifico riguardo poi alla quantificazione delle somme spettanti al collaboratore, la Corte ribadisce il proprio indirizzo secondo cui ai sensi del vigente contratto collettivo dei giornalisti (art. 2, co.4, cnlg 1 marzo  2001 – 28 febbraio 2005, e v. anche cnlg 1 aprile 2013 – 31 marzo 2016), il collaboratore fisso ha diritto “ad una retribuzione collegata al numero di collaborazioni fornite, ossia al numero di articoli redatti o rubriche tenute, nonché all’impegno di frequenza e alla natura e all’importanza delle materie trattate, ferma restando la soglia minima di quattro od otto collaborazioni al mese, con la conseguenza che, ove il numero delle collaborazioni sia particolarmente elevato e superiore a quello pattuito, il giudice, ai fini dell’equa determinazione della retribuzione, non può limitarsi ad un aumento proporzionale della stessa in rapporto al maggior numero di articoli o rubriche rispetto a quelli concordati, dovendo anche tenere conto di tutti gli altri parametri previsti dalla disposizione collettiva” (v. Cass. n. 290/2014). Risulterebbe, quindi, violato il  canone di proporzionalità e di equa determinazione della retribuzione qualora si attuasse tale adeguamento dividendo semplicemente il compenso pattuito per le collaborazioni previste (ossia moltiplicandolo per tutti gli articoli o pezzi giornalistici prodotti), senza un congruo accertamento dell’impegno di frequenza richiesto e della natura ed importanza delle materie trattate che, come detto, contribuiscono, in base al c.c.n.l.g., a quantificare la retribuzione dovuta (cfr. Cass. n. 290/2014 cit., in motivaz.).

Mancata iscrizione all’albo del collaboratore fisso e giusta retribuzione
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