L’astensione collettiva da mansioni accessorie rispetto a quelle contrattuali può costituire metodo di protesta sindacale, come tale non sanzionabile disciplinarmente. Se il datore decide comunque di applicare la sanzione, quest’ultima può solo essere annullata dal giudice e non riproporzionata.
Nota a Cass. 11 febbraio 2019, n. 3896
Gennaro Ilias Vigliotti
Il lavoratore di un’azienda dell’autotrasporto urbano con qualifica di operatore di esercizio e mansioni di autista di linea che, dando seguito ad un’iniziativa di lotta sindacale, decida di rifiutarsi di svolgere le mansioni aggiuntive di controllore dei titoli di viaggio a bordo non è meritevole della sanzione disciplinare della sospensione per cinque giorni. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 3896 dell’11 febbraio 2019, confermando una decisione della Corte d’Appello di Milano.
La vicenda conosciuta dalla Suprema Corte ha preso le mosse dalla decisione di una Società di trasporto pubblico della Provincia di Como di imporre ai propri autisti anche la mansione di controllo dei titoli di viaggio. I sindacati dei lavoratori si erano opposti a tale decisione, evidenziando come la qualifica e le mansioni contrattuali degli autisti non legittimavano la pretesa aziendale di estenderne i doveri di lavoro ad attività non previste e comunque del tutto secondarie rispetto a quelle principali. Per tali ragioni, le organizzazioni sindacali avevano organizzato una manifestazione di dissenso consistente nel rifiuto, da parte degli iscritti in servizio, di svolgere le mansioni di controllo biglietti, continuando ad occuparsi solo della guida dei mezzi. La società aveva dunque deciso di contestare ai dipendenti l’omessa verifica dei titoli di viaggio e, all’esito della procedura ex art. 7 Stat. Lav., aveva comminato a tutti i responsabili la sanzione della sospensione di cinque giorni, applicando il massimo della pena disciplinare prevista dall’art. 42 del ccnl Autoferrotranvieri per le ipotesi di “volontario inadempimento dei doveri d’ufficio o per negligenza la quale abbia apportato danni al servizio o agli interessi dell’azienda”.
Ebbene, i giudici di legittimità, confermando in pieno le decisioni prese dal Tribunale di Como prima e dalla Corte d’Appello poi, hanno affermato che la sospensione sino a cinque giorni dal lavoro e dalla retribuzione, prevista dall’art. 42 del ccnl di settore, non è applicabile nel caso di specie poiché il rifiuto delle mansioni di controllo biglietti, pur volontario, è stato attuato dai lavoratori non come gesto gratuito e deliberato di insubordinazione nei confronti del datore bensì nell’ambito di una strategia collettiva di lotta sindacale.
Inoltre, trattandosi del rifiuto di attività solo accessorie a quelle principali dedotte nel contratto di lavoro, la condotta tenuta non può comunque essere connotata da una gravità tale da giustificare l’applicazione della misura massima della sanzione sospensiva prevista.
La Corte Suprema ha altresì rifiutato di riproporzionare tale sanzione, applicandone una più mite: il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato rientra, secondo i giudici della Cassazione, nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica, onde è riservato esclusivamente al titolare di esso e non al giudice del lavoro. Ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della stessa, riducendone la misura (in questo senso, ex multis, Cass. n. 15932/2004, Cass. n. 7462/2002; Cass. 14841/2000). Solo nel caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore “poiché in tal modo non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima (per i precedenti, si v., su tutti, Cass. n. 8910/2007).