Licenziamento economico, non suffragato da prove, di lavoratori somministrati a tempo indeterminato e tutela risarcitoria ancorata all’indennità di disponibilità.
Nota a Cass. ord. 8 gennaio 2019, n. 181
Sonia Gioia
In tema di licenziamento c.d. economico, la legittimità del provvedimento espulsivo richiede la sussistenza di due condizioni: l’esigenza di sopprimere la posizione lavorativa, dovuta a ragioni riconducibili ad esigenze imprenditoriali, e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore, alla luce della professionalità raggiunta in altra posizione lavorativa analoga a quella venuta meno (c.d. obbligo di repêchage). Qualora si accerti, nel corso del giudizio, l’effettiva carenza di uno di tali elementi, il licenziamento risulta ingiustificato per “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, ex art. 18, co. 7, L. n. 300/1970, come novellato dalla L. n. 92/2012 (v. Cass. n. 10435/2018, annotata in questo sito da M.N. BETTINI e F. DURVAL, Licenziamento economico: possibile se manca il rêpechage). In tal caso, il giudice può ordinare la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria.
Laddove, invece, il datore – su cui grava l’onere della prova, ai sensi dell’art. 5, L. n. 604/1966- non sia in grado di dimostrare la sussistenza della ragione giustificatrice del licenziamento, il provvedimento espulsivo è, sì, illegittimo, ma, sul piano del regime sanzionatorio, si applica la sola tutela risarcitoria ex art. 18, co. 5, L. n. 300/1970.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (ord. 8 gennaio 2019, n. 181), confermando App. Venezia (n. 154/2017) che aveva dichiarato illegittimi i licenziamenti per difetto di prova della sussistenza della ragione giustificatrice degli stessi e, conseguentemente, applicato il regime indennitario (cfr. Cass. n. 10435/2018, cit, par. 8).
Nello specifico, un’agenzia di somministrazione aveva licenziato per motivi economici taluni lavoratori assunti a tempo indeterminato senza provare in modo “sufficiente” (secondo la Corte distrettuale) “l’impossibilità di reperire alcuna missione lavorativa compatibile con il livello professionale” raggiunto dai lavoratori somministrati licenziati. Inoltre, l’agenzia, senza darne una valida motivazione, aveva provveduto alla stipula di una pluralità di contratti a termine per posizioni lavorative astrattamente compatibili con quelle dei dipendenti espulsi, evidenziando una mancanza “di interesse della parte datoriale a mantenere in disponibilità i lavoratori (per un lungo) periodo invece che collocarli presso gli utilizzatori”.
Di conseguenza, la Corte d’Appello aveva escluso la manifesta infondatezza del fatto posto alla base del licenziamento e, in applicazione della tutela di cui all’art. 18, co. 5, cit., aveva condannato la parte datoriale al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell’indennità di disponibilità.
In definitiva, la mancata prova delle ragioni giustificatrici del provvedimento espulsivo non può essere equiparata alla manifesta insussistenza del fatto, che va riferita “ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza” dei presupposti del licenziamento “che consente di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso” e che può giustificare una tutela reintegratoria.