Gli emolumenti non dipendenti dalla qualifica di appartenenza e dall’anzianità, ma collegati all’effettività ed alla durata della prestazione di fatto, non si computano ai fini dell’indennità di buonuscita.
Nota a Cass. (Ord.) 15 marzo 2019, n. 7469
Alfonso Tagliamonte
Sebbene il regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell’INPS (atto di normazione secondaria interpretabile direttamente dalla Cassazione) preveda che “le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate, assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione dal servizio, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori (in quanto emolumenti non fissi né continuativi) non possono essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno assoggettate a contribuzione”.
È quanto precisato dalla Corte di Cassazione (ord. 15 marzo 2019, n. 7469 che cassa App. Roma 26 settembre 2012), la quale ribadisce che, in base all’art. 5 del citato regolamento, la retribuzione utile ai fini del calcolo delle prestazioni erogate dal fondo INPS di previdenza integrativa è composta unicamente dallo stipendio lordo, da eventuali assegni personali e da altre competenze a carattere fisso e continuativo; mentre, non comprende tutte le indennità ed i compensi corrisposti a titolo di trattamento accessorio, come le differenze retributive per mansioni superiori. Queste ultime, infatti, non sono erogazioni dipendenti dalla qualifica di appartenenza e dall’anzianità, “ma costituiscono voci retributive collegate all’effettività ed alla durata della prestazione di fatto, priva di effetti per il rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato ai fini dell’inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica” (v. anche Cass. n. 6768/2016).
La Corte richiama altresì la pronunzia delle SU n.10413/2014 (conf. da Cass. ord. n. 24099/2016), la quale chiarisce che nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita (ex artt. 3 e 38, DPR. 29 dicembre 1973, n. 1032) del pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni superiori a causa dell’affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza, “va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle superiori mansioni di dirigente” (v. art. 52, DLGS. n. 165/2001).