A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Flavia Durval e Francesco Belmonte
In tema di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la procedura con cui l’impresa delimita il perimetro entro il quale devono essere selezionati i lavoratori in esubero (art. 4, L. 23 luglio 1991, n. 223, non applicabile “nel caso di eccedenze determinate da fine lavoro nelle imprese edili e nelle attività stagionali o saltuarie, nonché per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato”- art. 4, co.14, L. cit.) è stata oggetto di una serie di pronunce giudiziali con particolare riferimento alla comunicazione con cui l’impresa – che ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative – avvia la procedura di licenziamento collettivo.
Licenziamento collettivo e modifiche salariali. Preliminarmente, va rilevato che il datore di lavoro è tenuto a procedere alle consultazioni sindacali previste dalla L. n. 223/1991, anche “qualora preveda di effettuare, a sfavore dei lavoratori, una modifica unilaterale delle condizioni salariali che, in caso di rifiuto da parte di questi ultimi, comporta la cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni previste dall’art. 1, par. 1, Direttiva 20 luglio 1998, n. 98/59/CE (n.d.r.: numero minimo di licenziamenti oltre il quale il recesso diviene collettivo), circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.” In tal modo, devono essere interpretati gli artt.1, par. 1 e 2, Direttiva cit., concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (CGUE 21 settembre 2017, C-149/16, LG, 2018, 337, con nota di R. COSIO, L’ambito di applicazione e la procedura consultiva nei licenziamenti collettivi, 339; nonché annotata in questo sito da F. BELMONTE, Modifiche salariali e licenziamenti collettivi).
La modifica del salario non riguarda la riduzione di elementi accessori della retribuzione come un premio di anzianità (v. sentenza CGUE C-149/16, cit.) ed è controverso se, ad es., una riduzione del 15% della retribuzione fissa possa essere qualificata come modifica sostanziale del contratto, tale da sfociare nel licenziamento collettivo. Quanto alla procedura di consultazione sindacale per la riduzione di personale, essa va avviata nel momento in cui è stata adottata la decisione strategica o commerciale che induca il datore di lavoro a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi (punti 39 e 41 sentenza cit. e CGUE 10 settembre 2009, C-44/08, punto 48, DRI, 2010, 541, con nota di R. COSIO, Gruppi di imprese e licenziamenti collettivi. Le precisazioni della Corte di Giustizia).
La comunicazione (obbligatoria) va effettuata, in via preventiva (CGUE 27 gennaio 2005, C-188/03, MGL, 2005, 385, con nota di S. MARETTI, L’intimazione del licenziamento collettivo nel sistema partecipativo della direttiva 98/59/Ce) e per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite ai sensi dell’art. 19 Stat. Lav., nonché alle rispettive associazioni di categoria o, in mancanza delle suddette rappresentanze, alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (Cass. 22 agosto 2016, n. 17234, annotata in questo sito da G. PIGLIALARMI, Licenziamento collettivo e rappresentatività: la comunicazione alle organizzazioni sindacali dopo la sentenza n. 231/2013 della Corte Costituzionale); in tale ultimo caso, anche per il tramite dell’associazione dei datori di lavoro alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato (art. 4, co. 2, L. cit.). Copia della comunicazione va inviata alla ITL (art. 4, co. 4, L. cit.). I singoli lavoratori non sono destinatari della suddetta comunicazione (Cass. 5 aprile 2000, n. 4228, FI, 2000, I, 2842).
In caso di scioglimento e messa in liquidazione della società, la procedura può essere iniziata legittimamente anche dopo alcuni mesi dalla relativa deliberazione (Cass. 28 gennaio 2009, n. 2161) e, laddove sia viziata, può essere rinnovata con efficacia ex nunc (Cass. SU. 11 maggio 2000, n. 302, MGL, 2000, 928, con nota di S. LIEBMAN, Garanzie procedimentali e legittimità delle scelte dell’imprenditore nei processi di ristrutturazione aziendale, GC, 2000, I, 2929, con nota di M. PAPALEONI, Le conseguenze dell’inosservanza degli obblighi di comunicazione nel licenziamento collettivo).
La “comunicazione preventiva” attinente ai licenziamenti collettivi per riduzione di personale (v. art. 4, co. 2, L. cit., come richiamato dall’art. 24, co. 1, stessa legge) esprime, mediante una manifestazione unilaterale destinata a misurarsi nel confronto sindacale, l’“intenzione” dell’impresa di procedere al licenziamento de quo.
Essa si differenzia dalla comunicazione del recesso rivolta al lavoratore (anch’essa da redigersi in forma scritta), la quale deve contenere solo la notizia del recesso, senza la necessità di alcuna motivazione; la comunicazione all’Ispettorato del lavoro, invece, deve includere anche i dati relativi “all’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l’indicazione per ciascun soggetto del nome, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” (Cass. 8 marzo 2007, n. 4970, RIDL, 2007, II, 163, con nota di T. VETTOR, Licenziamento collettivo: ambito della comparazione dei criteri di scelta e requisiti di legittimità delle comunicazioni finali).
I giudici hanno escluso una nozione elastica della suddetta comunicazione (l’indirizzo è consolidato; v., da ultimo, Cass. 30 giugno 2017, n. 16295, annotata in questo sito da A. LARDARO, Licenziamenti collettivi e comunicazione; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2322, RIDL, 2016, II, 328, con nota di C. LOMBARDO, Licenziamento collettivo (ante Fornero) legittimo solo se le comunicazioni a lavoratori e sindacati sono “contemporanee”; Cass. 4 febbraio 2016, n. 2206), stante l’esigenza di rendere visibile e, quindi, controllabile dalle associazioni di categoria, oltre che dagli uffici pubblici competenti, la corretta applicazione della procedura, con riferimento ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, quale indispensabile presupposto per la tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo dipendente. Ragionando diversamente, risulterebbe contraddetta la funzione di garanzia dei lavoratori licenziati attribuita alle comunicazioni da inviare alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro.
Marittimi. Qualora la procedura di licenziamento collettivo riguardi i membri dell’equipaggio di una nave, il datore di lavoro invia la comunicazione all’ITL “nel caso in cui la procedura di licenziamento collettivo sia relativa a membri dell’equipaggio di cittadinanza italiana ovvero il cui rapporto di lavoro è disciplinato dalla legge italiana, nonché alla competente autorità dello Stato estero qualora la procedura di licenziamento collettivo riguardi membri dell’equipaggio di una nave marittima battente bandiera diversa da quella italiana” (art. 4, co. 2, L. cit., così modificato dall’ art. 2, co. 1, D.LGS. 18 maggio 2018, n. 61).