Il comportamento del dipendente comunale, destinatario di una misura cautelare perché imputato di truffa aggravata per essersi ripetutamente allontanato dal Comune senza timbrare il cartellino in uscita, costituisce reato anche se il danno è modesto e, nella fattispecie, acquista rilievo anche la condotta delittuosa sull’organizzazione dell’ente interessato.
Nota a Cass. 13 febbraio 2019 n. 7005
Maria Novella Bettini
La falsa attestazione da parte del pubblico dipendente della sua presenza in ufficio, “riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, osservando che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica”.
Il principio è affermato dalla Corte di Cassazione (13 febbraio 2019 n. 7005, in conformità a Cass. n. 8426/2013) nel giudizio per la revoca di una misura cautelare nei confronti di un dipendente comunale destinatario imputato di truffa aggravata per essersi ripetutamente allontanato dal Comune senza timbrare il cartellino in uscita.
La Corte precisa che:
a) in ragione della speciale tenuità del danno arrecato alla PA, se può essere riconosciuta la circostanza attenuante (ex art. 62, co. 1, n.4, c.p.), tenuto anche conto dell’entità del profitto percepito, non è tuttavia possibile impedire la configurabilità del reato;
b) ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, “oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”; e, al riguardo, richiama la decisione della Cassazione n. 3077/2013, su una fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane S.p.A. mediante l’utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, in cui è stata esclusa l’attenuante, richiamando la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa;
c) in particolare, i giudici precisano che nella fattispecie assume rilievo anche “l’incidenza dell’accertata condotta delittuosa sull’organizzazione dell’ente interessato”. L’ente, infatti, potrebbe aver subito un rilevante pregiudizio per effetto delle assenze, pur minime. Tali assenze (ed il danno che ne consegue a carico della PA interessata) vanno valutate non solo sotto l’aspetto quantitativo, in riferimento al quantum di retribuzione indebitamente percepito, “ma anche in quanto mettano in pericolo l’efficienza degli uffici”. Ciò poiché le singole assenze incidono “sull’organizzazione dell’ufficio, alterando la preordinata dislocazione delle risorse umane, nella quale il singolo funzionario non può ingerirsi, modificando arbitrariamente le prestabilite modalità di prestazione della propria opera quanto agli specifici orari di presenza”;
d) con la dislocazione degli impiegati nei singoli uffici, i dirigenti curano infatti l’impiego utile e razionale delle risorse disponibili, al fine di assicurare la proficuità (anche in favore dell’utenza) dello svolgimento dell’attività amministrativa quotidiana; attività che è, “certamente”, messa a repentaglio dalle iniziative personali “di quei dipendenti che mutino a proprio piacimento i prestabiliti orari di presenza in ufficio (con il rischio di creare nocive scoperture ed inutili accavallamenti, e comunque fornendo una prestazione diversa da quella doverosa, non soltanto per durata, ma anche quanto all’orario di inizio e di fine);
e) di qui, il danno patito dalla PA ed il profitto ottenuto dal lavoratore, consistente: a) nell’essersi sottratto ai doveri di ufficio; b) e nell’indebita percezione di “apprezzabile retribuzione”.
Come noto, in base all’art. 55 quater 4 (su cui v. Min. Difesa Circ. 11 febbraio 2011, n. 9226), sul licenziamento disciplinare del dipendente pubblico, “1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia…” (co. 1).
Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’Amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta… (co. 1 bis, inserito dall’art. 1, co. 1, lett. a), D.LGS. 20 giugno 2016 n. 116).
Nel caso di cui al co.1, lett. a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato… (co. 3 bis, inserito dall’art. 1, co. 1, lett. a), D.LGS. 20 giugno 2016 n. 116).
Nei casi di cui al co. 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall’avvio del procedimento disciplinare…” (co. 3 quater).