Nel caso in cui, in seguito alla richiesta, da parte del lavoratore, del tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine di 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale, la controparte non depositi, entro 20 gg., la memoria ex art. 410 c.p.p., decorrono ulteriori 60 gg. per la presentazione del ricorso da parte del lavoratore medesimo.
Nota a Cass. 21 marzo 2019, n. 8026
Francesca Albiniano
“In tema di impugnativa del licenziamento individuale ex art. 6 della I. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, della I. n. 183 del 2010, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine di 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale consegua il mancato accordo necessario al relativo espletamento, in quanto la controparte non depositi presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la memoria prevista dall’art. 410, comma 7, c.p.c., dallo scadere di detto termine di 20 giorni decorre l’ulteriore termine di 60 giorni entro il quale il lavoratore medesimo è tenuto a presentare, ai sensi dell’ultima parte del comma 2 del citato art. 6, il ricorso al giudice a pena di decadenza.”
Tale principio è sancito dalla Corte di Cassazione (21 marzo 2019, n. 8026, conf. Cass. n. 27948/2018), la quale, analizzando l’art. 32, co. 1 e 2, L. n. 183/2010, chiarisce che tale disposizione, modificando l’art. 6, L. n. 604/1966, ha creato una nuova fattispecie decadenziale, “costruita su una serie successiva di oneri di impugnazione strutturalmente concatenati tra loro e da adempiere entro tempi ristretti”.
I) Ferma restando la facoltatività del tentativo di conciliazione, nell’ipotesi ordinaria, il lavoratore, dopo aver comunicato al datore di lavoro l’atto di impugnativa del licenziamento, propone direttamente il ricorso al giudice: in questo caso, egli deve rispettare il predetto termine di 180 giorni.
II) Il lavoratore, tuttavia, può percorrere una diversa strada alternativa alla prima. E cioè, può far seguire l’impugnazione – sempre entro il termine di 180 giorni – “dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato”.
III) In tal caso, però, qualora il componimento stragiudiziale dia esito negativo, egli è tenuto a depositare il ricorso al giudice “a pena di decadenza entra sessanta giorni” dal rifiuto o dal mancato raggiungimento dell’accordo necessario all’espletamento della conciliazione o dell’arbitrato.
IV) Con particolare riguardo alla richiesta del tentativo di un componimento stragiudiziale, essa può condurre ad un esito negativo secondo molteplici percorsi:
a) anzitutto, può accadere che la procedura sia accettata ed espletata dalla controparte, ma poi si concluda con un mancato accordo. In questo caso, secondo Cass. n. 14108/ 2018, non opera il termine di 60 giorni previsto dall’ultima parte del co. 2 dell’art. 6, L. n. 604/66 soltanto “qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento”; tale sentenza precisa invece che resta “efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento”, e che però esso (ai sensi dell’art. 410, co. 2, c.p.c.) è sospeso “per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi”;
b) oppure può accadere che l’esito negativo del componimento stragiudiziale sia determinato dall’immediato esplicito rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa richiesta (rifiuto, equiparato, per espressa previsione legale, al caso del mancato accordo necessario al relativo espletamento). Ebbene, come ha precisato un’altra pronunzia della Cassazione (Cass. n 27948/2018, cit.) da questo rifiuto decorre il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso giudiziale, “insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza prevista dal comma 2 dell’art. 410 c.p.c.”;
c) quanto alla fattispecie analizzata dalla sentenza in esame (n. 8026/2019), il Collegio chiarisce che “nel caso del mancato accordo necessario all’espletamento della procedura di conciliazione, che matura allorquando la controparte non abbia accettato la procedura depositando, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente difese, eccezioni e domande riconvenzionali (cfr. art. 410, co. 7, c.p.c.), solo dallo spirare di tale termine di venti giorni, evento significativo della non accettazione della procedura che pertanto abortisce in partenza e non viene svolta, decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza che l’ultima parte del comma 2 dell’art. 6 più volte citato fissa, inequivocabilmente, in un lasso temporale di sessanta giorni”.
La Corte cassa pertanto la sentenza di merito che aveva considerato il terzo termine di decadenza di 60 giorni decorrente dal “mancato accordo” sull’esperimento del tentativo di conciliazione, ritenendo non condivisibile l’interpretazione data dal giudice territoriale che “commina la decadenza all’alba del ventunesimo giorno successivo al ricevimento della richiesta di conciliazione dalla controparte, la quale fino al giorno prima avrebbe invece potuto aderire depositando la propria memoria, la sentenza deve essere cassata”.