A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Francesco Belmonte e Sonia Gioia
Entro 7 giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dei licenziamenti collettivi, si procede ad un esame congiunto tra le parti, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni (art. 4, co. 5, L. 23 luglio 1991, n. 223).
La legge (L. 28 giungo 2012, n. 92, art. 1, co. 44) ha sostituito il termine “contestualmente” (della previgente disciplina) con «entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi», mentre le conseguenze delle violazioni procedurali sono divenute meramente indennitarie sia per i vecchi assunti (art. 18, co. 7, terzo periodo, Stat. Lav., che rinvia all’art. 18, co. 5) che per i nuovi (art. 10, D. LGS. 4 marzo 2015, n. 23, che rinvia al precedente art. 3, co. 1).
«Il termine di sette giorni per la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991, come modificato dall’art. 1, comma 44, della l. n. 92 del 2012, decorre dalla comunicazione del primo licenziamento (come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi e non già alla data di ricezione degli stessi». (Così, Cass. 26 settembre 2018, n. 23034).
“Qualora il datore di lavoro abbia proceduto a recessi differiti, il termine di sette giorni per la comunicazione alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi, di cui all’art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991, come modificato dall’art. 1, comma 44, della l. n. 92 del 2012, è unico e decorre dall’invio della comunicazione del primo recesso, poiché solo in tal modo è possibile garantire, rispetto a tutti i licenziamenti via via intimati, quella contestualità tra la comunicazione del recesso al lavoratore e la comunicazione ex art. 4, comma 9, che consente il controllo sulla correttezza nell’applicazione da parte del datore di lavoro dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare” (Cass. 7 settembre 2018, n. 21906).
Pertanto, per un verso, la comunicazione “per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata non può essere parcellizzata in tante comunicazioni – ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti – ma deve essere unica, cioè tale da esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta” (Cass. n. 23034/2018, cit.); e, per l’altro, l’esame congiunto deve essere effettivo e pertanto non può essere svolto per telefono; se poi i sindacati chiedono un rinvio, il datore di lavoro non ha il dovere di richiedere altri incontri (Cass. 4 febbraio 2009, n. 2682).
L’esame congiunto è finalizzato, ai sensi dell’art. 4, co. 5, L. cit., ad analizzare “le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro”. Se poi non è possibile evitare la riduzione di personale, occorre vagliare la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento “intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti” (App. Napoli 4 giugno 2015, DML, 2015, 655, con nota di M. A. RIVETTI, Brevi riflessioni sulla rilevanza delle comunicazioni ex art. 4, comma 9, l. 223/91 nei casi di cessazione dell’attività aziendale).
A pena di violazione delle procedure e conseguente inefficacia dei licenziamenti (art. 4, co. 12 e art. 5, co. 3, L. cit. – v. Cass. 1 febbraio 2016, n. 1842), il datore di lavoro deve condurre la consultazione secondo correttezza e buona fede (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22824, OGL, 2009, 767), mediante un confronto leale con i sindacati e non sottraendosi alle richieste di chiarimenti o di informazioni ulteriori, salvo effettive esigenze di riservatezza per ragioni commerciali.
Non è previsto un obbligo di verbalizzazione degli incontri, anche se nella pratica ciò avviene quasi sempre (Cass. n. 12746/1992, con riferimento alla previgente disciplina).
L’accordo sindacale siglato nel corso delle procedure di cui sopra, che preveda il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, può stabilire, “anche in deroga al secondo comma dell’articolo 2103 del codice civile, la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte” (art. 4, co.11, L. cit.) presso altra impresa, regolandone il distacco (art. 8, co. 3, L. 19 giugno 1993, n. 236), ovvero prevedendo il diritto dei lavoratori in esubero, che procedano alla risoluzione consensuale del rapporto, all’assunzione presso altro imprenditore che a ciò si obblighi (Cass. 26 giugno 2009, n. 15073, OGL, 2009, 553). L’accordo collettivo è pertanto legittimato ad abbassare le precedenti mansioni (Cass. 1 luglio 2014, n. 14944, NGL, 2015,131) con la possibilità di passare da mansioni impiegatizie a mansioni operaie; qualora il lavoratore rifiuti questa dequalificazione, si esporrà al rischio del licenziamento ( Cass. 10 luglio 2013, n. 17119, MGL, 2014, 122, con nota di C. PISANI, Licenziamento collettivo e criteri di scelta e Cass. 7 settembre 2000, n. 11806, MGL, 2001, 352, con nota di M. PAPALEONI, Ristrutturazioni e mobilità intercategoriale). Se poi si considera vincolante l’accordo sindacale di demasionamento, l’eventuale rifiuto delle mansioni inferiori ivi previste costituisce una giusta causa di licenziamento (Cass. 5 dicembre 2007, n. 25313, RIDL, 2008, II, 470, con nota di L. CAVALLARO, L’autotutela negata, ovvero: quale disciplina per il demansionamento illegittimo?).
La procedura di cui sopra va esaurita entro 45 giorni, dalla data del ricevimento della comunicazione dell’impresa, sempre che non sia intervenuto in precedenza un accordo o un verbale di mancato accordo. Il termine è ridotto della metà se il numero dei lavoratori interessati dalle procedure di licenziamento collettivo è inferiore a 10 (art. 4, co. 8, L. cit.).
L’impresa è tenuta anche a dare all’ITL “comunicazione scritta sul risultato della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo. Analoga comunicazione scritta può essere inviata dalle associazioni sindacali dei lavoratori” (art. 4, co. 6, L. cit.). Il mancato rispetto della tempistica dei 45 giorni integra una violazione procedurale, con le seguenti conseguenze sui licenziamenti effettuati: per i lavoratori già in forza prima del 7 marzo 2015, si applica l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e, quindi, viene confermato il licenziamento ma c’è l’obbligo di pagare un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con il contratto a tutele crescenti, invece, il rapporto comunque è dichiarato estinto dal giudice, con obbligo del datore di lavoro di pagare un’indennità pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36, esente da contributi previdenziali.