A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Paolo Pizzuti e Alfonso Tagliamonte
La selezione dei lavoratori in eccedenza da licenziare è effettuata unilateralmente dal datore di lavoro al di fuori della procedura sindacale (di cui presuppone l’esaurimento) (art. 4, co. 9 e art. 5, co. 2, L. 23 luglio 1991, n. 223).
L’accordo collettivo che chiude la procedura può aumentare il numero dei licenziamenti previsti dalla comunicazione aziendale (Cass. 11 agosto 2016, n. 17061), ovvero diminuirli fino alla possibilità che, in esito alla procedura, siano intimati meno di 5 recessi, senza che per questo sia esclusa la natura collettiva del licenziamento, poiché la soglia numerica è fissata solo con riferimento al momento iniziale della procedura (art. 24, co. 1, L. cit.) (Cass. 22 novembre 2011, n. 24566, RIDL, 2012, II, 618, con nota di L. CALAFà, Sul definitivo assestamento della nozione di licenziamento collettivo nella giurisprudenza di legittimità; LG, 2012, 476, con nota di R. COSIO, L’ambito di applicazione dei licenziamenti collettivi nel dialogo delle alte Corti).
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto solo alla consultazione, non a concludere un accordo o ad accogliere le istanze sindacali. Egli le può pertanto legittimamente respingere in tutto o in parte, essendo legittimato, al termine della procedura, ad effettuare comunque i licenziamenti programmati (art. 4, co. 9, L. cit.). Dopodiché deve comunicare per scritto all’ITL, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1” (art. 4, co. 9, L. cit.) (Cass. 4 dicembre 2017, n. 28972).
Le predette comunicazioni non hanno efficacia laddove siano state effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure (comunicazione preventiva alle oo.ss. ed esame congiunto) previste dall’art. 4, L. cit. Se il licenziamento viene intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica, per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs.4 marzo 2015, n. 23 (come mod. dal D.L. 12 luglio 2018, n. 87 – c.d. Decreto “Dignità” – conv. dalla L. 9 agosto 2018, n. 96),il regime sanzionatorio di cui all’art. 18, co. 1, (recte co. 1-3) Stat. Lav., e cioè: 1) la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente; 2) il risarcimento del danno, commisurato a tutte le retribuzione non percepite dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto; 3) deduzione dall’indennità dell’aliunde perceptum, ossia di quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione; d) versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.
Qualora, invece, il prestatore non voglia essere reintegrato, egli ha facoltà di optare (“entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione”) per una indennità di 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (non assoggettata a contribuzione previdenziale), sostitutiva della reintegrazione (l’opzione determina la risoluzione del rapporto) (art. 18, co. 3, Stat. Lav.).
Per i prestatori assunti (o il cui contratto di lavoro sia stato convertito) a tempo indeterminato, successivamente all’entrata in vigore delle nuove regole (7 marzo 2015), la legge contempla la medesima tutela ripristinatoria (reintegrazione nel posto di lavoro; risarcimento con tetto minimo di 5 mensilità; detrazione dell’aliunde perceptum; versamento dei contributi previdenziali e assistenziali) e la stessa facoltà di optare per l’indennità (di 15 mensilità) sostituiva della reintegrazione (con conseguente risoluzione del rapporto); tuttavia, esse divergono da quanto previsto dall’art. 18, co. 1-3, Stat. Lav., in merito al criterio di quantificazione dell’indennizzo. Infatti, il risarcimento dovuto al lavoratore viene rigidamente parametrato all’anzianità di servizio, in quanto commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
Inoltre, il termine di 7 giorni, per la comunicazione agli uffici competenti ed alle associazioni di categoria dell’elenco degli espulsi e delle modalità di applicazione dei criteri, è cogente e perentorio (Cass. 13 novembre 2018, n. 29183), poiché la comunicazione al sindacato deve consentire il controllo sulla riduzione di personale adottata dal datore di lavoro e sui criteri di scelta dei lavoratori. E ciò, anche nell’ipotesi di un criterio unico che riguardi tutti i lavoratori e in un contesto di cessazione dell’attività e di azzeramento del personale (Cass. 2 novembre 2018, n. 28034, annotata in questo sito da A. LARDARO, Comunicazione del licenziamento collettivo e termine perentorio). In particolare, quando il criterio di scelta sia unico il datore di lavoro deve specificarne le modalità di applicazione affinché “la comunicazione raggiunga un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, sia stato posto in mobilità o licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale; a tal fine, può essere idonea anche la comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati e del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, in quanto la natura oggettiva del criterio rende superflua la comparazione con i lavoratori privi del detto requisito” (Cass. 26 agosto 2013, n. 19576; v. anche Cass. 19 settembre 2016, 18306).
L’impresa che rinunci a licenziare i lavoratori o ne collochi un numero inferiore a quello espresso nella comunicazione di cui all’art. 4, co. 2, L. cit., procederà “al recupero delle somme pagate in eccedenza rispetto a quella dovuta ai sensi dell’articolo 5, comma 4, mediante conguaglio con i contributi dovuti all’INPS, da effettuarsi con il primo versamento utile successivo alla data di determinazione del numero dei lavoratori licenziati” (art. 4, co. 10, L. cit.).
L’idoneità e sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’ art. 4, co. 3, L. cit., deve essere comunque valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale.
Va comunque considerato che, anche se per determinare la platea del personale da selezionare non si può prescindere dalla scelta operata dal datore di lavoro sulla dimensione quanti-qualitativa ottimale dell’impresa, ogni delimitazione dell’area di scelta dei lavoratori da licenziare è soggetta alla verifica giudiziale in merito alla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano (Cass. 2 dicembre 2009, n. 25353, RGL, 2010, II, 266, con nota di B. CAPONETTI, Licenziamento collettivo e ambito aziendale interessato; OGL, 2009, 986, con nota di A. NUCCI, Sulla delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da avviare alla mobilità).
Il giudice deve cioè controllare non gli specifici motivi della riduzione del personale, bensì la correttezza procedurale dell’operazione (Cass. 7 novembre 2016, n. 22543 e Cass. 17 aprile 2014, n. 8971, NGL, 2015, 81). Secondo la giurisprudenza consolidata, infatti, l’oggetto del sindacato giurisdizionale sul licenziamento collettivo (diversamente da quanto accade per il licenziamento individuale) non riguarda il motivo della riduzione di personale, bensì – accanto all’effettiva ricorrenza delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che giustificano la riduzione del personale, soprattutto laddove vi sia una delimitazione dell’area di scelta dei lavoratori da espellere (Cass. n. 25353/2009, cit.) – la correttezza della procedura sindacale di controllo preventivo dell’operazione e l’imparzialità della scelta dei lavoratori da licenziare (Trib. Torino. 12 agosto 2017, n. 15768, annotata in questo sito da P. PIZZUTI, Criteri alla base del licenziamento collettivo e trasferimento d’azienda).
La verifica giudiziale dovrà pertanto valutare sia il rispetto delle regole procedurali contenute nell’art. 4, L. cit., che la correttezza dell’applicazione dei criteri concordati in sede sindacale o, in mancanza di accordo, i criteri (in concorso fra loro) previsti dall’art. 5, L. cit., vale a dire: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative. In particolare, il carico di famiglia va identificato in relazione al fabbisogno economico determinato dalla situazione familiare e, quindi, dalle persone effettivamente a carico e non da quelle risultanti in relazione a altri parametri, che potrebbero rivelarsi non esaustivi (Cass. 2 agosto 2018, n. 20464, annotata in questo sito da D. PIETROCARLO, Licenziamenti collettivi e carichi di famiglia; nel senso che il giudice non può sostituire la sua valutazione, eventualmente difforme, a quella dell’imprenditore, Trib. Caltagirone 1 luglio 2016, in RIDL, 2017, II, 250, con nota di M. MILITELLO, Licenziamento collettivo per riduzione del personale. La libertà dell’an e i vincoli del quomodo).