A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Paolo Pizzuti e Francesco Belmonte
Complesso aziendale e unità produttiva. Al fine di ampliare quanto più possibile l’area entro cui operare la suddetta scelta e di apprestare garanzie idonee contro il pericolo di discriminazione a danno del singolo lavoratore (tanto più probabili quanto più si restringe l’ambito di selezione), le esigenze dell’impresa vanno riferite al “complesso aziendale” (Cass. 2 dicembre 2009, n. 25353, RGL, 2010, II, 266, con nota di B. CAPONETTI, Licenziamento collettivo e ambito aziendale interessato; OGL, 2009, 986, con nota di A. NUCCI, Sulla delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da avviare alla mobilità), “applicandosi, poi, all’interno del gruppo così delimitato in base ad un oggettivo nesso di causalità, i criteri selettivi attinenti alla situazione dei singoli. Ed in questa seconda fase le esigenze aziendali possono rilevare per distinguere le specifiche professionalità più o meno utili al datore di lavoro nell’ambito dei “profili professionali” indicati anch’essi nella originaria comunicazione di eccedenza” (Così, A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, Cedam, 2017, 670 (art. 4, co. 3, L. n. 223/1991).
L’accordo sindacale può individuare un criterio di scelta trasversale ed esteso all’intero complesso aziendale a prescindere dall’area di eccedenza definita nella comunicazione di avvio (purché, i criteri di scelta convenzionali rispondano a requisiti di obiettività, razionalità e non discriminatorietà: v. App. Torino 15 maggio 2017, ADL, 2018, 561, con nota di P. TOSI e E. PUCCETTI, I criteri di scelta convenzionali nel contrasto tra le corti ).
In via maggioritaria, la Cassazione (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2255, RIDL, 2012, II, 789, con nota di M. BORZAGA, Sull’ambito spaziale di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità in caso di licenziamento collettivo e le recenti Cass. 19 marzo 2019, n. 7642 e Cass. 18 marzo 2019, n. 7591) ha più volte affermato che, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo a un’unità produttiva o a un settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare la manodopera in eccedenza, può essere limitata agli addetti all’unità o al settore da ristrutturare, purché tale limitazione sia obiettivamente giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale (e purché le ragioni siano puntualmente enunciate nella lettera di apertura della procedura). Si è dunque ritenuto ammissibile il restringimento della platea dei lavoratori coinvolti ai soli addetti a uno specifico ramo o settore, escludendo un obbligo di confronto con tutti i profili professionali presenti nel «complesso aziendale» (assume perciò grande rilevanza la formulazione, nonché completezza, della comunicazione di avvio, quale punto di riferimento per lo sviluppo – formale e sostanziale – dell’intera procedura).
In altre parole, secondo la giurisprudenza consolidata, il perimetro dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitato agli addetti ad un determinato reparto o settore, ma solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata.
Inoltre, l’ambito di selezione del personale eccedente può essere limitato a specifici rami d’azienda, ovvero ad un particolare reparto, ma solo se questi sono caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre (Trib. Milano 10 novembre 2017, LG, 2018, 419). Non è infatti possibile limitare la scelta dei lavoratori da licenziare ai soli dipendenti di un reparto se essi sono idonei ad occupare le posizioni di colleghi addetti ad altri reparti: il datore di lavoro dovrà cioè provare la ricorrenza delle specifiche professionalità o comunque di situazioni oggettive che rendano non praticabile qualunque comparazione (Cass. 7 dicembre 2018, n. 3175).
Pertanto, sul presupposto che in linea generale la riduzione del personale debba riguardare l’intero complesso aziendale, solo nel caso in cui il datore di lavoro voglia procedere a selezionare i licenziandi in un solo settore, s’inserisce come causa dirimente Il criterio della fungibilità nel senso
che spetta in ogni caso ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità delle diverse mansioni (Cass. 14 marzo 2018, n. 6147; nello stesso senso, Cass. 16 settembre 2016, n. 18190; per la necessaria comparazione tra professionalità omogenee impiegate non nel singolo scalo aeroportuale, bensì nell’intero complesso aziendale, Trib. Venezia 19 ottobre 2016, RGL Veneto, 2017, 34).
Dunque, “non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative”, così, Cass. 5 settembre 2018, n. 21670, annotata in questo sito da A. LARDARO, Licenziamento collettivo e ambito di scelta dei lavoratori interessati). Sicché, a fronte di una comunicazione di avvio che riferisce l’eccedenza ad una specificata area dell’azienda e ad alcune definite figure professionali, l’accordo sindacale deve dare “atto della fungibilità tra le posizioni professionali soppresse e quelle già ritenute eccedenti o comunque espliciti il nesso di pertinenza tra le eccedenze e le posizioni soppresse” (così, App. Firenze 3 aprile 2017, cit.; v. anche Cass. 11 luglio 2013, n. 17177, LG, 2013, 1013 (con nota di M. CONGEDUTI, L’estensione dei criteri di scelta per i licenziamenti collettivi all’ “intero complesso aziendale”), secondo cui se il progetto di ristrutturazione si riferisce unicamente ad un’unità produttiva, l’impresa, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti, deve indicare nella comunicazione (ex art. 4, co. 3, L. n. 223/1991) “sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine”. È poi onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata).
Nel senso che qualora un’azienda debba ridurre il personale a seguito di chiusura di un reparto o di un’unità produttiva, la scelta dei dipendenti da porre in mobilità non può essere limitata ai soli addetti al reparto o all’unità da sopprimere, ma va necessariamente estesa a tutti i lavoratori con professionalità fungibili, v. Cass. 9 novembre 2016, n. 22788, annotata in questo sito da G. I. VIGLIOTTI, Licenziamenti collettivi: i lavoratori vanno scelti in base alla professionalità (nella fattispecie, i dipendenti licenziati erano stati in passato assegnati anche ad altri reparti aziendali ancora in funzione, acquisendo il knowhow essenziale per lavorare in tali unità produttive. Conseguentemente, il licenziamento poteva essere disposto non in base al reparto di assegnazione, bensì in base alla concreta professionalità maturata dai lavoratori).
Per contro, il datore di lavoro che, pur avendo individuato in origine un settore in esubero, opti poi per estendere a tutti i settori dell’azienda la scelta dei lavoratori da licenziare (ad es. in base alla maggiore vicinanza al pensionamento), non è tenuto, nel realizzare la selezione su tutto il personale, a fornire la prova della “fungibilità”.
Qualora la riduzione di personale riguardi un’impresa ammessa al trattamento di integrazione salariale straordinaria, la giurisprudenziale è orientata nel senso di ritenere che la selezione va estesa a tutti i lavoratori dell’azienda (v. Cass. 20 settembre 2003, n. 13968, GLav., 2003, n. 42, 25; Cass. 18 luglio 2001, n. 9743 e Cass. 11 novembre 1998, n. 11387, RIDL, 1999, II, 665, con nota di M. PALLA, Impossibilità di garantire il reimpiego ai lavoratori in C.i.g.s. e scelta dei dipendenti da porre in mobilità).
Nell’ambito di un licenziamento per la messa in mobilità di cui all’art. 4, co. 1, L. n. 223/1991, il nesso causale tra la scelta imprenditoriale relativa al ridimensionamento dell’organizzazione produttiva e la posizione lavorativa dei dipendenti licenziati non assume alcuna rilevanza, posto che il terzo comma dell’art. 5 della legge in questione non prevede alcuna sanzione per la mancanza di tale nesso causale, che è requisito necessario, invece, per il licenziamento previsto dall’art. 24, L. cit.
Secondo un indirizzo dottrinale, invece, la suddetta selezione deve avvenire (con i criteri indicati nell’art. 5, L. n. 223/1991) nell’ambito di quei “lavoratori sospesi” per i quali l’azienda non sia “in grado di garantire il reimpiego” (art. 4, co. 1). Appare dunque essenziale il ricorso al principio della rotazione nell’individuazione dei lavoratori da sospendere (art. 1, co. 7 e 8). Di modo che, per evitare che la collocazione in cassa integrazione equivalga all’anticamera del licenziamento solo per i lavoratori “sgraditi”, la selezione dei lavoratori da licenziare deve essere effettuata fra tutti coloro che hanno ruotato, indipendentemente dalla circostanza che durante la procedura di mobilità siano sospesi solo alcuni dipendenti e non altri (A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, Cedam, 2017, 673).
Specializzazione. Il criterio selettivo del possesso di elevate competenze specialistiche, assolvendo allo scopo, cui è preordinata la procedura collettiva di riduzione del personale, di salvaguardare la continuazione dell’attività dell’impresa, non può ritenersi né generico, né arbitrario se rapportato ad una realtà produttiva caratterizzata da particolare e specifica specializzazione, nella quale sono richieste competenze tecniche espressamente tarate sul settore in cui opera l’azienda. Il criterio di selezione dell’alta specializzazione risulta dunque più funzionale, rispetto ai criteri di legge (anzianità di servizio e carichi familiari) eventualmente derogati dall’accordo sindacale, per scongiurare la cessazione dell’attività e, quindi, per tutelare l’occupazione, poiché consente la prosecuzione dell’attività aziendale con un impatto minimo sui livelli occupazionali dell’impresa (Cass. 10 dicembre 2018, 31872, annotata in questo sito da G. CATANZARO, Licenziamenti collettivi e criterio di specializzazione).